Revolution

È un elogio della “parola” modellata sui ritmi dell’hip hop, il musical ispirato alla storia di Alexander Hamilton e diretto d Maurizio Purifico. Quella “parola” la cui libertà d’espressione fu una della conquiste più preziose sancite dalla prima Costituzione scritta: quella degli Stati Uniti d’America, entrata in vigore nel 1789.

Particolare di una banconota da 10 dollari raffigurante Alexander Hamilton

Ed è intorno ad una vera e propria “fame di parole” che il musical prende forma, rivelando un’interessante fedeltà all’intima esigenza di Hamilton di ricorrere alla parola scritta per affrancarsi e contemporaneamente affrancare chi, come lui, si trovava a subire ingiustizie sociali, perché minoranza. Parole portatrici di ideali, per restare fedele ai quali non ha temuto di andare incontro alla morte: “Morire è facile, Vivere è la sfida! “.

Matteo Corvatta (Hamilton) in una scena del musical “Revolution”

Una perfetta storia, quella di Hamilton, da hip hop: lo stile musicale e culturale che ben permette di esprimere la propria identità e che fa della libertà, luogo astratto dei diritti, una realtà concreta come quella della nostra dimensione interiore.

Una scena del Musical “Revolution”

I testi, curatissimi e incredibilmente densi, sono una vera e propria valanga di parole, che trova in questo genere musicale capace di trasmette più parole al minuto di qualsiasi altro, un perfetto veicolo d’espressione.

Una scena del Musical “Revolution”

Il sipario di “Revolution” si apre su una scena dominata da una struttura praticabile a ponte (che ricorda quello di una nave) esaltata da un sapiente disegno luci. Il “ponte” rappresenta il mezzo per andare al di là del nostro solito mondo, verso una dimensione diversa, “una terra promessa dove i frutti sono di tutti”.

Una scena del Musical “Revolution”

Come dovrebbe avvenire anche nella vita, nel Musical “ogni particolare” risulta indispensabile per la riuscita dello spettacolo. Qui in “Revolution” la narrazione storica, inclusiva di preziosi punti di vista al femminile, si avvale di una potente sinergia costituita da vigorose prove attoriali e brillanti esposizioni canore che, unite a persuasive coreografie, danno vita ad uno splendido esempio di coralità.

Una scena del Musical “Revolution”

Con notevole acume il regista Maurizio Purifico identifica il titolo del suo musical in uno dei diritti sancito nella Costituzione americana del 1789: quello alla Rivoluzione appunto . Un diritto che non dovremmo mai dimenticare di esercitare nei momenti necessari. Insieme. Perché “Unione” fa rima anche con “Rivoluzione”.

Una scena del Musical “Revolution”

Perché le rivoluzioni, coraggiosamente volute o ineluttabilmente subite, segnano un nuovo punto di partenza, avendo preparato il terreno per un’evoluzione. Questo lo splendido messaggio con il quale ci si alza, pieni di fervore, dalla poltrona del teatro a fine spettacolo. E che ci si porta a casa.

Una scena del Musical “Revolution”

Questo è il potere civile del Teatro quando si ha l’opportunità di assistere ad uno spettacolo qual è “Revolution”.

Backstage : il regista Maurizio Purifico insieme alla Compagnia alcuni momenti prima dello spettacolo

La dodicesima notte (o Quel che volete)

TEATRO OLIMPICO, dal 25 al 30 Ottobre 2022 –

Ieri sera, per la prima de “La dodicesima notte (o “Quel che volete”) di William Shakespeare, il palco del Teatro Olimpico si è travestito, o meglio, ha preso le sembianze di quello del Globe Theatre. La regista Loredana Scaramella, storica collaboratrice del maestro Gigi Proietti, salita sul palco prima dell’inizio dello spettacolo per suggellare l’emozione del riavvio della programmazione della stagione del Globe presso il Teatro Olimpico, ha realizzato un adattamento del testo shakespeariano intorno al tema centrale del “tempo”.

Loredana Scaramella

Un enorme orologio (le scene sono di Fabiana Di Marco) campeggia appeso al piano superiore della scenografia e si riflette sul palco attraverso la disposizione circolare di dodici sedie, che ospitano gli attori. Tutti, sempre presenti in scena. L’orologio-macrocosmo, appeso in alto, si carica esteticamente “a batteria” (al suo interno ospita il batterista e la sua strumentazione) ma metaforicamente “a carica”, nel senso che è al personaggio di Feste, il Matto, ad essere delegato il movimento di carica e pausa della messa in scena, attraverso la sola lancetta delle ore (come nei primi orologi meccanici del Rinascimento).

Carlo Ragone

Nella ripresa del neoplatonismo, così in voga ai tempi di Shakespeare, l’uomo, ricollocato al centro dell’Universo, è artefice del suo destino (homo faber ipsius fortunae) e può controllare e governare le cose del Mondo. Così anche il Tempo.  Sul palco-microcosmo sono gli stessi attori a occupare da protagonisti le sedie-meccanismo del quadrante delle dodici ore, che danno forma alla dodicesima e ultima giornata dei festeggiamenti (iniziati con il Natale e proseguiti fino all’Epifania). Il periodo festivo per eccellenza, nell’Inghilterra elisabettiana. Non c’è tempo da perdere, quindi ! 

Lo spettacolo si apre all’alba della dodicesima e ultima giornata di festa con un naufragio che si trasmuta oniricamente in una festa sregolata. Coerentemente al “Quel che volete” del titolo dell’opera, viene messa in scena un’onirica contaminazione di materiali e di generi, dando volutamente ospitalità a quelle spinte del desiderio che portano all’allegro coesistere di confusioni e ambiguità. Come in un libero gioco di sentimenti ed azioni. Il tempo della giornata scorre ad un ritmo sempre più accelerato verso una mezzanotte frenetica, che sancisce la fine della festa e l’avverarsi dei desideri.

Ma… “forza e coraggio, che la vita è un passaggio!”. Il carattere dissacratorio e totalmente libero dell’eccezionalità di questo periodo, di questo “spazio temporale curvo”, si è momentaneamente concluso. E il consueto giro delle ore e dei giorni è pronto a ricominciare.

Rinascimentale la scelta di “profanare” i brani musicali (musiche a cura di Adriano Dragotta, canzoni originali di Mimosa Campironi, eseguite dal vivo dal quartetto William Kemp): un mix di brani di classica e punk-rock, eseguiti dall’orchestra ospitata al secondo piano della scenografia e avvolta in un velatino, a rendere ancora più onirica la visione e quindi l’ascolto.

Rockeggianti i fascinosi costumi dei personaggi più altolocati: dalla dark Olivia in total black e capelli rosso fuoco, al Conte Orsino dal torso nudo ornato da imbracature in pelle sadomaso bondage, esaltate dal contrasto con un soprabito gotico-barocco. Molto simile, ma privo di soprabito, il costume di Feste il Matto, un Carlo Ragone che brilla per un “elegantemente folle” uso del corpo.

Geniale l’idea di rendere i due fratelli gemelli Viola e Sebastiano degli avatar in quotidiani abiti pop (tutti i costumi nascono dall’estro di Susanna Proietti).

L’alternanza metrica scelta da Shakespeare, il pentametro giambico (sciolto o rimato) misto a prosa è riproposta qui ma con un’originalità che vira al musical. Il risultato è decisamente efficace. Complice un disegno luci raffinatamente psicadelico (il light designer è Umile Vainieri). Tutti i meccanismi dell’ “orologio attoriale” risultano ben sincronizzati, sia nei tempi reali che in quelli onirici, contribuendo efficacemente alla realizzazione di uno spettacolo di fantasmagorica bellezza.