TEATRO BASILICA, dal 14 al 17 Novembre 2024

Metti una sera al Basilica con la platea insufficiente ad accogliere un’onda di ventenni;
metti 5 interpreti del collettivo “Gruppo della creta” in scena con una performance ispirata alle opere di Juan Rodolfo Wilcock;
metti un titolo “Beati voi che pensate al successo noi soli pensiamo alla morte e al sesso”
ne scaturirà una pubblica manifestazione di consenso e ammirazione.

Juan Rodolfo Wilcock (1919 – 1978)
I giovani hanno apprezzato l’idea di una performance-rituale, musicalmente accogliente, libera da una rigida architettura. Come la scena: un luogo della mente abitato da un unico oggetto di scena – un divano gonfiabile bianco – nella duplice valenza etimologica di luogo di confine e di luogo poetico.
Ma niente di statico, però: proprio così come nel mondo persiano, le decisioni più importanti erano prese nei divani a cavallo (riunioni condotte in sella) così, qui, il divano è l’occasione per fare altro.

Interrogarsi, ad esempio.
Un interrogarsi immaginato come un movimento rituale con un dentro e un fuori dal confine della dogana-divano: quasi un’area psichica inconscia, foriera di continue domande. E identificata in un tronco nudo e secco.
In effetti è questa la struttura della performance: un rituale tra una parte e l’altra del confine, tra conscio e inconscio, tra domande e risposte, non necessariamente chiare ed esaustive. Ma in rapporto osmotico.
E’ il ritratto di una generazione, quella attuale, che s’interroga sulla morte, sul sesso, sulla verità. Meno sul successo. Lo fa con dolcezza sensuale ma anche feroce. Ma ciò che conta è non smettere di interrogarsi.

E poi continuare, sempre, ad immaginare.
Come Wilcock raccomandava a suo figlio:
“… Ricorda che c’è una sola cosa/ affermativa, l’invenzione; /il sistema invece è caratteristico/della mancanza d’immaginazione./Ricorda che tutto/ accade /a caso e che niente dura, /il che non ti vieta di fare/ un disegno sul vetro appannato,/né di cantare qualche nota/
semplice quando sei contento;/può darsi che sia un bel disegno,/che la canzone sia bella: /ma questo non ha certo importanza, /basta che piacciano a te…”.
E immaginando, vivere. Anche, in attesa di passare all’atto, stazionando su un divano: luogo-dogana in cui si trasportano le energie prima di introdurle nel paese di destinazione. Immaginando come poter arrivare lì, dove si desidera andare. Perché, come diceva Wilkock:
“Vivere è percorrere il mondo
attraversando ponti di fumo;
quando si è giunti dall’altra parte
che importa se i ponti precipitano.
Per arrivare in qualche luogo
bisogna trovare un passaggio
e non fa niente se scesi dalla vettura
si scopre che questa era un miraggio”.

Una performance, questa del Gruppo della Creta (qui in scena Jacopo Cinque, Alessio Esposito, Amedeo Monda, Laura Pannia, Alessandro di Murro) che fotografa una criticità attuale e ne propone una lettura non necessariamente fatalista. Anzi, incline a quella propositività dello “stessere ciò che c’incuora” di cui parlava Wilcock:
“Ripudiamo la facilità/come si allontana un serpente;/la facilità/dissolvente quasi-verità./ Del pensiero troppo ordinato/scoraggiamo la seduzione;/negli eccessi dell’argomentazione/non sperperiamo il nostro legato./Cerchiamo soltanto di stessere/dal tessuto di ogni ora/ciò che ci nutre, ciò che/c’incuora,/ l’universalità dell’essere.
La platea sembrava respirare assieme agli interpreti, tanta la partecipazione.

Recensione di Sonia Remoli








