QUANDO FINIRA’ TUTTO QUESTO? – Trilogia grottesca di Sławomir Mrożek 

LAMANTICA EDIZIONI 2025

Presentazione del libro  e prova letta

ISTITUTO POLACCO DI ROMA

11 dicembre 2025

Salendo le scale del rinascimentale Palazzo Blumensthil, si arriva al piano nobile sede dell’Istituto Polacco di Roma. Fondato nel 1992, in seguito ad un accordo tra il Ministero degli Affari Esteri e l’Ambasciata della Polonia con l’obiettivo di diffondere la cultura polacca in Italia, l’Istituto propone ogni anno un ricco programma di mostre, film, conferenze, spettacoli e concerti dei più importanti intellettuali e artisti polacchi contemporanei. 

La serata dell’ 11 Dicembre u.s. è stata dedicata a Sławomir Mrożek (Borzęcin, 29 giugno 1930 – Nizza, 15 agosto 2013) scrittore, drammaturgo e fumettista polacco, le cui opere – abitate da un umorismo surreale e da situazioni grottesche che aiutano a far emergere le convinzioni distorte dei personaggi – creano quel disagio necessario a spingere il pubblico a riflettere sui dilemmi della realtà. Sono opere che esplorano i paradossi legati a temi universali come la libertà, il potere, l’emigrazione, l’identità e la condizione umana all’interno di un sistema totalitario.

Nello specifico, la serata dell’11 Dicembre scorso  –  organizzata in collaborazione con PAV osservatorio privilegiato del panorama artistico contemporaneoche promuove la drammaturgia contemporanea in ambito nazionale ed europeo – si è incentrata attorno alla presentazione del libro Quando finirà tutto questo? Trilogia grottesca di Sławomir Mrożek  (Lamantica Edizioni, 2025), dove sono intervenuti i curatori del volume Lorenzo Gafforini e Lorenzo Pompeo e il figlio del traduttore Giulio Pampiglione.

Alla presentazione è seguita la prova letta di uno dei tre testi raccolti nel libro – Il macello –  per la regia di Kamila Straszyńska, con gli interpreti Pietro Rebora, Elena Orsini,Ilaria Martinelli, Carlo Guglielminetti, Carmine Barbato, Teodoro De Cristofaro.

Nell’accogliente saluto istituzionale da parte dell’Istituto Polacco di Roma è stato ricordato come questa occasione d’incontro si carichi della fertile sinergia di tre anniversari: il 95esimo dalla nascita di Mrożek, il 25esimo di PAV e il 10cimo di Lamantica Edizioni. Casa editrice di cui Lorenzo Gafforini ha sottolineato la raffinata valorizzazione dei testi: oggetti d’arte dalla tiratura molto limitata.

Quando finirà tutto questo? Trilogia grottesca di Sławomir Mrożek  è un libro avvolto in una particolare luce, in considerazione del fatto che esce dopo un lungo momento di vuoto su questo autore. Risulta quindi prezioso – come fa notare Lorenzo Pompeo nell’Introduzione “Un illustre sconosciuto di nome Sławomir Mrożek” –  riproporre oggi questi testi che Giovanni Pampiglione aveva tradotto e proposto nel 1987 in Teatro polacco del ’900 (Il macello e Giorno d’estate) e, nel 1997, sulla rivista “Sipario” (n. 583 – dove era uscita la sua versione di A piedi).

Giovanni Pampiglione

L’affascinante personalità esuberante e schiva di Giovanni Pampiglione – regista, traduttore nonché conoscitore e promotore della cultura polacca – tradusse e mise in scena Mrożek scegliendo, come non manca di ricordare Lorenzo Gafforini, una particolare cifra minimalista dalla leggerezza, dalla trasparenza e dall’immediatezza di un acquerello. Cifra efficacissima per rappresentare la fluidità delle emozioni e del tempo, e quindi per promuovere una riflessione sulla natura transitoria dell’esistenza.

Nella seconda parte della serata si è potuto apprezzare – grazie alla collaborazione di PAV – la stimolante prova letta de “Il macello”, curata dalla regista Kamila Straszyńska, con gli interpreti: Pietro Rebora, Elena Orsini, Ilaria Martinelli, Carlo Guglielminetti, Carmine Barbato, Teodoro De Cristofaro.

Kamila Straszyńska

La regista ne fa – con l’intrigante complicità del corpo della voce dei suoi interpreti – un’appassionata restituzione acustica, davvero suggestiva: Mrożek aveva infatti inizialmente pensato “Il macello” come un radiodramma e solo successivamente come una messa in scena.

E’ attraverso la visualizzazione della scissione tra i pensieri desideranti e l’agito musicale del protagonista de “Il macello”, che Kamila Straszyńska  inizia a veicolare nello spettatore quello iato, quella frattura, che si può verificare nell’incontro tra una dualità, i cui componenti faticano a stare insieme. Metafora del nostro contraddittorio stare al mondo.

E’ uno iato che parla di “una gelosia” che mal tollera i vincoli appassionati della diversità. E che spinge verso la rottura dei rapporti di una relazione plurale. Una gelosia che sagoma lo sguardo su uno solo dei termini: qui, nello specifico, su una supposta cultura individualista “da solista”, che rifugge il duettare proprio di una sana socialità. 

Sławomir Mrożek

Una gelosia che impone una scelta: qui quella tra arte o vita. Il protagonista viene infatti manipolato fino a fargli credere di preferire essere un genio anziché un uomo. Con il pretesto che “essere un uomo non basta”. Quando in realtà quello che non basta è essere “un uomo solo”, separato cioè dalla tensione al confronto con il diverso da sé. 

E così Mrożek ci porta a vedere che quando l’arte si dissocia dalla società, “la cultura diviene una religione laica”.

In  una serie di crescendo parossistici – resi magnificamente dagli interpreti in scena – il (supposto) genio nutrito “solo a cavolfiori” finisce per perdersi nella necessità ossessiva di farsi anziché artista, macellaio.  

Scopre infatti che l’arte non è tutto, come si illudeva, perché “un animale sgozzato fa più effetto sul pubblico”.  E siccome “la verità deve essere una sola, se non è nell’arte la cercherò altrove”. Nel macello, ad esempio. “Si ucciderà in scena. Qui alla Filarmonica macelleremo le bestie: ora davanti a voi si esibirà un carnefice”.

Sławomir Mrożek

Ma nell’uccidere e nel distruggere non c’è niente di geniale: tutti sanno farlo.

Ed è così che, come in un cortocircuito, è il senso di incertezza a dominare su tutto. 

Sarà lui ad andare in scena.

Ne “Il macello” Mrożek ci pone davanti ad una situazione paradossale ma preziosa per confrontarci con l’assurdo del quotidiano. E soprattutto con le contraddizioni della nostra natura umana. Vivere in un mondo di incertezze è difficile, ma cosa siamo pronti ad aspettarci dal comportamento umano? Dall’umana follia?

Perché è proprio mettendo alla berlina i paradossi della società dell’homo sapiens, smontando quindi false certezze, che il testo di Sławomir Mrożek  riconsegna all’uomo la consapevolezza della necessità di un’interminabile ricerca della verità.


Recensione di Sonia Remoli

Recensione dello spettacolo ASCOLTA COME MI BATTE FORTE IL TUO CUORE di Wislawa Szymborska – con Maddalena Crippa – progetto e regia di Sergio Maifredi –

TEATRO VITTORIA, 27 Marzo 2023 –

In un effervescente Teatro Vittoria, si è tenuta ieri la serata inaugurale dell’anno dedicato a Wisława Szymborska (1923 -2012), in occasione del centenario dalla sua nascita. Ad aprire la serata la presentazione del progetto, nato due anni fa da un’idea di Andrea Ceccherelli (professore ordinario di slavistica presso l’Università di Bologna) e di Luigi Marinelli (professore ordinario di slavistica presso l’Università “La Sapienza” di Roma), da parte del regista Sergio Maifredi, curatore del progetto e dello spettacolo. Uomini, loro, tutti legati da grande amicizia a Pietro Marchesani, il traduttore per l’Italia delle opere di Wisława Szymborska, Premio Nobel per la Letteratura nel 1996.

Wisława Szymborska, poetessa Premio Nobel per la Letteratura nel 1996

Ospiti d’onore della serata, inoltre, il segretario personale della Szymborska Michał Rusinek (di cui ora gestisce la Fondazione) e la Direttrice dell’Istituto Polacco di Roma Adrianna Siennecka. L’evento inaugurale della serata rientra, infatti, nelle celebrazioni ufficiali indette dal Senato della Repubblica di Polonia.

Ultimate le presentazioni ufficiali, il calare delle luci in platea introduce il pubblico in sala all’immersione in un clima diverso: più intimo. A raggiungere il pianoforte a coda sul palco, è il pianista Michele Sganga, che per l’occasione ha composto una raccolta di brani dedicata all’energia vitale di Wisława Szymborska.

Michele Sganga, pianista dello spettacolo “Ascolta come mi batte forte il tuo cuore”

Un’opera variegata ma unitaria la sua, leggera e complessa, in cui movimento danzante e stasi contemplativa si rincorrono senza mai raggiungersi, in quel circolo vitale che è la danza stessa del reale. Due linee guida che il musicista, spinto da quel senso tutto szymborskiano di curiosa apertura al paradosso, segue e reinterpreta in modi diversi.

Sergio Maifredi, regista dello spettacolo “Ascolta come mi batte forte il tuo cuore”

La raffinata regia di Sergio Maifredi sceglie che prima che il maestro Sganga posi le sue mani sui tasti del pianoforte, entri in scena la commossa sensibilità dell’interprete Andrea Nicolini, con una rosa rossa, dal lungo gambo: omaggio e presenza stessa della poetessa. Con autentica sacralità, Nicolini la posa a terra: al centro della ribalta. “Che cosa penserebbe la Szymborska di questa nostra incontenibile gioia di ricordarla ?” – si chiede, traducendo ad alta voce i nostri pensieri. Magari direbbe, con quel sorriso reso unico dalla sua cordiale e brusca ironia, che “per caso” così tanti amici e sconosciuti si sono organizzati e dati appuntamento al Teatro Vittoria. E “cosa farà ora? Firmerà autografi, anche lì dove si trova, o si godrà una sigaretta ascoltando la sua adorata Ella Fitzgerald ?”.

Andrea Nicolini

A suggellamento di questo rituale oramai officiato, il pianista Michele Sganga trova quelle note che, sprigionandosi nell’aria, traducono e danno una qualche risposta alle nostre domande.

Ora la voce della Szymborska può “trovare scultura” attraverso la mirabile emissione vocale di Maddalena Crippa. Una lettura interpretativa, come l’avrebbe desiderata Lei, la nostra poetessa: scevra da toni solenni. Fluida, come pensata.

Maddalena Crippa

La regia di Maifredi prevede acutamente che anche Andrea Nicolini si sieda, lì sul palco, bagnato da una luce che rende sacro il suo ascolto. Successivamente si alternerà a Maddalena Crippa nella lettura, regalando un colore “a tutto tondo” al carteggio intercorso tra la Szymborska e il suo amato Kornel Filipowicz.

Wiesława Szymborską insieme a Kornel Filipowicz

Nella magia di un’incantevole serata della primavera romana, è andata in scena, nel “tempio” del Teatro Vittoria, la rievocazione di quel verso libero, tipico di Wiesława Szymborską. Così complesso eppure percepito in maniera così sorprendentemente semplice. Fruibile con agio da tutti: solo la genialità della poetessa premio Nobel è riuscita a cesellarlo. Come una miniaturista.

Wiesława Szymborską, da giovane

Perché dietro quell’arguta e succinta scelta delle parole si cela una profonda introspezione intellettuale. Una lirica filosofica la sua, dove si apprezza la bellezza della certezza ma di più quella dell’incertezza. Perché il destino, fino a che non è pronto a manifestarsi, “si diverte a giocare” con gli uomini. E allora la sua poesia è la meravigliosa e incantata espressione di un “non so”, al quale però ci si può aggrappare “come alla salvezza di un corrimano”.

Wiesława Szymborską insieme a Kornel Filipowicz

Perché, sebbene la parola “tutto” sia “solo un brandello di bufera”, il savoir-vivre cosmico esige da noi “un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal e una partecipazione stupita a questo gioco, con regole ignote”.

Wiesława Szymborską


Recensione di Sonia Remoli