TEATRO FRANCO PARENTI, dal 5 Aprile al 5 Maggio 2024

Andrée Ruth Shammah ci invita a salire a bordo della sua nave – la nuova sala A2A – e un po’ come il Prospero shakespeariano fa scoppiare una tempesta.
Che non colpisce solo gli interpreti in scena. No, coinvolge anche noi del pubblico. Perché siamo tutti nella stessa barca: qui si parla della vita e di come possa essere desiderabile anche la morte.
E’ naturale – come ama ricordare Roy Chen autore di questo appassionante e commovente testo – che la vita sia abitata da conflitti, da tempeste. Ma tutti noi sappiamo che possiamo contare sul “dialogo”: quel movimento che fa sì che due (o più) persone si lascino attraversare dal potere della parola.

Quel movimento che fa “incontrare” due (o più) singolarità che scoprono di preferire alle proprie ragioni rigidamente individuali quelle che nascono dall’incontro con le ragioni dell’altro. Perché il dialogo è il linguaggio della “relazione” e renderla possibile è lo scopo della nostra esistenza, qui in questo mondo. Perché solo attraverso la relazione ci riveliamo “creatori” e quindi artisti del vivere quotidiano.
Misurare il nostro spazio vitale, definirlo rigidamente, ci regala l’illusione di sentirci sicuri e quindi forti. Ma in realtà ci rende “poveri”, sterili, proprio perché “separare” non genera vita, non fa nascere alla realtà cose nuove.

Sala A2A
Di questo ci parla la postura con la quale ci accoglie questa sala: la A2A il cui nome è un omaggio allo sponsor che ha permesso l’ultima trance dei lavori.
Una postura che ci commuove: regala una scossa ai nostri individualismi e li fa crollare. Questa sala è così bella – una vera “figata” – perché così può essere la vita, se ci ricordiamo che siamo tutti sulla stessa barca e che “insieme” si ottiene molto di più che custodendo “da soli”, sterilmente, i nostri confini esistenziali.
Non si poteva trovare modalità migliore, forse, per ricordarci “chi siamo”. E che per scoprirlo abbiamo bisogno di stare “insieme” agli altri, così diversi da noi e proprio per questo così preziosi per noi.
Perché “la libertà non si definisce, si testimonia”, sosteneva Vitaliano Trevisan.

Vitaliano Trevisan
Qui siamo nel libro di Roy Chen.
Qui siamo nel libro della vita.
Questa è la prossemica che possiamo tenere per essere “ricchi”, per essere “forti”: la prossemica del mescolarci, dell’incuriosirci compassionevolmente dell’altro. La cui diversità ci parla anche di noi e ci permette di amarci. E di avvicinarci al miracolo del “perdono”: ciò che resta di una “tempesta”, non solo shakespeariana. Ciò che resta di un conflitto.
La diversità è tra noi: non a caso il reparto di igiene mentale nello sguardo registico ed esistenziale della Shammah non resta confinato sul palco ma ci raggiunge in platea. E ci contamina fertilmente. L’allestimento scenico é curato da Polina Adamov.

La sala A2A
La diversità è in noi: ciò che notiamo nell’altro, in qualche forma, è anche in noi. E’ quello che consideriamo il nostro peggio e con il quale ci guardiamo bene di venire in contatto, mantenendo accuratamente le distanze, rinforzando i confini. Indossando maschere.
Invece è lì, in quella stranezza, in quel “difetto” provocato in noi da “una ferita” che ci ha segnati, che si nasconde qualcosa capace di generare cose meravigliose di noi.
Sa parlarne con sapiente fascino la nuova edizione di “Elogio dell’inconscio. Come fare amicizia con il proprio peggio” di Massimo Recalcati (Castelvecchi).

Più forte però è la tentazione a vergognarci dei nostri “difetti”: allora rinforziamo i nostri confini per delimitare la stranezza, per non farla uscire da lì. Addirittura riusciamo a dimenticarla. Convincendoci – e impegnando tutte le nostre energie a convincere anche gli altri – del contrario.
Ecco allora l’importanza di allenare invece quell’ abilità – che tutti noi possediamo – del chiederci e del chiedere “Chi come me”.
Abilità al cui “sboccio” partecipiamo attraverso questa stupefacente rappresentazione teatrale. Che in verità è la semplice ed autentica riproposizione di qualcosa che è realmente accaduto all’autore del testo Roy Chen nel 2019: quando fu invitato a partecipare ad una lezione di teatro nel reparto giovanile di un centro di salute mentale di Tel Aviv.

In scena – anzi tra noi – 5 splendidi adolescenti “diversi” con la freschezza e la grazia del loro essere ragazzi e con la pesantezza di essere diventati precocemente adulti. Sono interpretati da intensissimi attori esordienti (dai 14 ai 21 anni): Amy Boda, Federico De Giacomo, Chiara Ferrara, Samuele Poma, Alia Stegani.

Sono ragazzi che hanno la fortuna di essere guardati con meravigliosa attenzione dallo psichiatra direttore del reparto ( un appassionato Paolo Briguglia) che ogni mattina prima di svegliarli si prende un attimo: “ode” i loro respiri quando dormono e li trova la più ammaliante delle sinfonie.

Paolo Briguglia e Federico De Giacomo
Desidera essere inserito – e quindi incluso, accettato – nei loro respiri: non tanto nelle loro menti. Perché il respiro è qualcosa di più profondo: regge la vita alla base. E più in alto, regge anche architetture senza le quali stenteremmo a pensare.
E parla di loro all’insegnante di teatro, la signorina Dorit (una commovente Elena Lietti), con l’incanto di “chi sa che sono come noi”. Ma con un contrappunto di Seriquel, Helydol, Prisma e Ritalin.
Sarà l’azione sinergica della cura dello sguardo e dell’ascolto poetico dello psichiatra mescolati all’erotica della didattica teatrale della signorina Dorit a produrre rigogliosi frutti nei 5 ragazzi, nonostante le non sempre favorevoli “condizioni atmosferiche”.

Elena Lietti
Perché efficaci nel lasciare il proprio segno sono quegli insegnanti che con il loro stile hanno la “capacità di immedesimarsi” rendendo possibile l’esistenza immaginifica di nuovi mondi. Riattivando così quel desiderio capace di accendere la vita e di allargarne l’orizzonte. Solo in questo modo ad ogni diversità sarà restituita la propria singolare bellezza.
Perché se è vero, come è vero, che l’empatia è importante, lo è ancor di più che non diventi un pretesto per imporre il proprio sguardo. Errore nel quale possiamo avere la tentazione di cadere noi genitori. Che infatti non possiamo non trovare qualcosa di nostro nella varietà degli atteggiamenti dei genitori di questi ragazzi, tutti interpretati con viva maestria da Sara Bertelà e Pietro Micci. Perché i legami che durano nel tempo sono quelli che si fondano sul riuscire ad amare l’altro proprio in quanto diverso da noi.

Pietro Micci e Sara Bertelá
E intanto, superata la tempesta, qualcosa è successo.
Perché scendendo dalla nave (la nuova sala A2A) si ha una strana voglia: quella di non voler essere poi così normali.
Il teatro contagia, per fortuna. E cura le nostre preziose fragilità.
E finché ci saranno urgenze che prenderanno forma attraverso regie di così profonda testimonianza, avrà ancora “sapore” il nostro stare al mondo.
Grazie Andrée Ruth Shammah: “randagia dello spirito”.

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CHI COME ME
di Roy Chen
adattamento, regia e costumi di Andrée Ruth Shammah
traduzione dall’ebraico Shulim Vogelmann
con in o.a. Sara Bertelà, Paolo Briguglia, Elena Lietti, Pietro Micci
e con Amy Boda, Federico De Giacomo, Chiara Ferrara, Samuele Poma, Alia Stegani
allestimento scenico Polina Adamov
luci Oscar Frosio
musiche di Brahms, Debussy, Vivaldi, Saint-Saëns, Schubert … e Michele Tadini
assistente alla regia Diletta Ferruzzi
assistente allo spettacolo Beatrice Cazzaro
consulenza vocale Francesca Della Monica
direttore dell’allestimento Alberto Accalai
direttore di scena Paolo Roda
elettricista Domenico Ferrari
fonico Marco Introini
sarta Marta Merico
scene costruite da Riccardo Scanarotti – laboratorio del Teatro Franco Parenti
costumi realizzati da Simona Dondoni – sartoria del Teatro Franco Parenti
gradinate costruite da Pietro Molinaro – Scena4
Si ringrazia Bianca Ambrosio per averci fatto conoscere Roy Chen
produzione Teatro Franco Parenti
rassegna La Grande Età, insieme
Partner culturale
In collaborazione con
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Recensione di Sonia Remoli
