Una saga familiare
ideata
dal Gruppo della Creta e da Pier Lorenzo Pisano
per riflettere
sulla trasposizione della narrazione seriale a Teatro

Episodio n.5
Titolo: “A te, fra 25 anni”
Autore: Rebecca Righetti
In scena: Shadi Romeo, Elena Vanni
Tra impazienza e nostalgia, sfidando la pioggia e l’insolito freddo, anche ieri sera si era in tantissimi ad aspettare l’ultimo episodio della saga familiare “Nella puntate precedenti”: A te, fra 25 anni di Rebecca Righetti.
Ad attenderci un finale di stagione che, attraversando durezze inscalfibili, ci ha portati a sognare, per poi lasciarci come appesi ad un nuovo vuoto.

“Fine delle trasmissioni” – l’ultima frase pronunciata – apre infatti a diverse letture, che vanno oltre quella relativa alla fine della prima stagione della saga.
Parlandoci anche, ad esempio, della possibile rottura della trasmissione dell’incantesimo che percorre tutta la saga. Il dare le spalle cioè alla “presa in carico” della maternità e più in generale della genitorialità. Alla presa in carico dell’aver cura di un altro da sé, com’è un figlio, destinato poi a lasciare il nido familiare. Un investimento complesso e rischioso che richiede molto e che, in cambio, non si dà come una proprietà.
Ma ora, per la prima volta nella saga familiare, una figlia abbandonata e poi adottata sente l’esigenza di mettersi sulle tracce del proprio passato. E così facendo dà avvio ad un nuovo corso del presente, che parte da quell’eredità, ma che ora immagina come materia per una possibile costruzione personale.

“La presa non funziona” – dice Giulia (una commovente e commossa Shadi Romeo): non si produce infatti calore.
“Lo sapevo” – risponde Serena (un’efficacissima Elena Vanni) – e propone una presa che è lì in stanza. Ma che lei – anzichè fare in modo che produca calore tra loro – fa sì che diventi il confine tra avversarie di uno stesso campo da gioco.
E poi come un deus ex machina cade il tetto di contenimento e scende un’altalena, dove al momento nessuno sale, ma che prelude ad un seguito di continue sedute oscillanti, esistenzialmente incendiarie, tenute sospese da nuove catene.

Ciò che resta, che lo spettatore si porta con sé, è il potere del dono: di una postura vitale generosa, che sa andare oltre le regole del gioco, oltre la ritualità chiusa di un incantesimo, oltre le cinture di sicurezza. E che riesce a fare breccia sull’altro, nonostante tutto.
Prima ancora di scartarlo, infatti, il dono di Giulia viene accettato e tenuto in grembo da Serena come fosse un bimbo appena nato. Come un nuovo inizio: una nuova occasione di maternità.
Giulia sceglie non a caso come dono un pezzo unico, speciale, diverso da tutti gli altri dello stesso genere: per riconoscere a Serena l’unicità del suo essere madre, madre biologica.
E’ una fonte di luce: come vorrebbe che accettasse di essere ora Serena, fin dall’inizio rimasta all’ombra della sua vita.

Ma in amore non vale il merito, non vale la giustizia: l’amore va oltre. Ed è tale se riesce ad accogliere e a fare un fertile uso delle fragilità, degli errori, delle mancanze, dell’altro.
Ne parla con poetico disincanto la prossemica della madre, sempre sulla difensiva e quella della figlia sempre a tentare, sempre a corteggiare, fino a sedurre le resistenze materne.
Ma poi quando alla dichiarazione di “simpatia” arriva in risposta una dichiarazione di “estraneità”, Giulia molla la partita.
E, a qualche livello, continua a vincere: ora sua madre, in solitaria, si scioglie con noi del pubblico in un racconto immaginativo, che apre nuovi orizzonti alle parole castranti con le quali è riuscita a farla andar via: “non ci saranno altre puntate !”.
E invece no, qualcosa si muove.

Serena non sale sull’altalena ma si appoggia a una delle catene che la sostengono, confidandoci che “c’è una storia che non esiste, un soggetto che non è stato ancora girato…”.
E noi questo soggetto si aspetta di condividere nelle “prossime puntate”, quelle di una nuova stagione. Per saperne di più ma soprattutto per scoprire cosa deciderà di fare Giulia di questo nuovo incontro con il suo passato.
Una Serie Teatrale, questa de “Nelle puntate precedenti”, che reinventando il tempo del teatro lo ha saputo trasformare in un rito seriale. E così facendo ha conquistato Roma.
Un esperimento narrativo e teatrale che come tale apre una nuova frontiera nella drammaturgia contemporanea, trasformando la serialità — linguaggio per eccellenza del nostro tempo — in un’esperienza scenica condivisa, intima e collettiva.

Dopo lo strepitoso successo dei primi cinque episodi, con un seguito in costante crescita, repliche raddoppiate e una partecipazione del pubblico che ha superato ogni previsione, l’esperimento è decisamente riuscito.
Non ci resta che attendere il sequel.
E, nell’attesa, continuare ad immaginare i possibili esiti di questa esplorazione delle proprie origini. Perchè questa storia, che tanto ci avvince, riguarda tutti noi.
NELLE PUNTATE PRECEDENTI

Recensione di Sonia Remoli
