GRAN TEATRO BERNINI – drammaturgia e regia Francesco d’Alfonso

TEATRO NUOVO ATENEO

12 e 13 Giugno 2025






“Di cosa resterà memoria?” – si chiede, in un profondo momento di crisi, il poliedrico artista Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) nella lettura che ne fa il drammaturgo e regista Francesco d’Alfonso – “Resterà memoria di sogni o di concrete realtà?”. 

“La vita non è meno bella di un sogno – dirà poi – anche se può riuscire ad abbatterci”.  

Bernini, infatti, riuscì a sollevarsi dal suo stato di profonda prostrazione grazie al fertile scompiglio di un particolare incontro, che lo portò a sublimare il trauma di essere stato allontanato dagli occhi e dal cuore di Papa Innocenzo X Panphilj, che si ostinava a considerarlo responsabile di un errore – ovvero delle conseguenze della costruzione dei campanili sulla facciata della Basilica di San Pietro – nonostante indagini e perizie dimostrassero il contrario. 

Gian Lorenzo Bernini, “Autoritratto” , Galleria Borghese

Un’acuta sensibilità drammaturgica – basata sulle fonti dell’epoca, vagliate con la consulenza scientifica dello storico dell’arte Antonio Soldi della Sapienza Università di Roma – conduce Francesco d’Alfonso sulle tracce di un Bernini poco conosciuto, spingendolo a realizzare una regia, la cui avvincente messa in scena ha debuttato giovedì al Nuovo Teatro Ateneo della Sapienza Università di Roma.

Ciò di cui “resterà memoria” – ed è questo il messaggio che la regia di Francesco d’Alfonso veicola seducentemente nello spettatore – è ciò che nasce dal dialogo, e non dalla contrapposizione, tra sogno e realtà. 

Francesco d’Alfonso

Ad esempio, l’incanto di uno sguardo: quello a cui ci abbandoniamo, lasciandoci contattare da quelle tracce di bellezza, che si danno solo attraversando la vita nei suoi frangenti più oscuri.  E che ci permettono di scorgere “il tutto” attraverso “un frammento”.

In un magnifico montaggio di rifrangenze simboliche, lo sguardo “mortificato” del Bernini rifiutato da Papa Innocenzo X Panphilj viene contattato dall’incanto di quello del suo nuovo committente: il Cardinale Federico Cornaro, qui un carismatico Francesco Cotroneo. La cui sincera attenzione lascerà un fertile strascico sulla vita dell’artista, come enfatizzato con estro anche dall’abito di scena, la cui cura è affidata a  Evelina Maria Vaakanainen. Sarà proprio lo sguardo del Cardinale Cornaro infatti, a indirizzare quello di Bernini verso l’incanto di quello di Santa Teresa D’Avila, mediante la lettura della sua biografia: libro che Bernini legge, ma dal quale è soprattutto letto, guardato dentro, nel profondo. 

Federico Gatti (Bernini) – Enrico Torre (controtenore) – Francesco Cotroneo (Cardinale Federico Cornaro) – Lorenzo Sabene (liuto, tiorba, chitarra barocca)

Ed è così che lo sguardo “mortificato” di Bernini, declinato in queste sue rifrangenze, arriva ad attraversare anche l’incanto dello sguardo dell’autore e regista Francesco d’Alfonso, spingendolo verso la realizzazione di una messa in scena, che a sua volta provoca l’incanto di uno stupefacente contagio nello sguardo dello spettatore. 

Il sipario si apre su una scena – anche simbolico luogo della mente dell’artista – dove, nonostante l’entusiasmo affettuoso di Giovannino (il devoto assistente di Bernini, qui interpretato da un efficace Domenico Pincerno), tutto appare avviato ma poi bloccato.

In verità circolano energie, ma di un diverso linguaggio emotivo. Un linguaggio che, intraducibile mediante i principi della logica, si dà invece attraverso forme più raffinatamente enigmatiche, quali quelle della musica e del canto.

Domenico Pincerno (Giovannino) – Federico Gatti (Bernini)

Ecco allora che si fa strada, tra le ferme aree psichiche del linguaggio creativo, la serpeggiante eleganza delle note ammalianti del canto del controtenore Enrico Torre – accompagnato al liuto, alla tiorba e alla chitarra barocca dall’afflato di Lorenzo Sabene. Fertile disposizione emotiva attraverso la quale il regista d’Alfonso inizia a veicolare uno dei temi portanti del suo testo: la morte come condizione di ogni nuovo inizio.

Con acuto sguardo registico, d’Alfonso amplifica il valore della metafora concettuale incentrando le coordinate temporali della narrazione nel lasso di tempo che va dal tramonto all’alba e sconfinando le coordinate spaziali nella cappella funebre in Santa Maria della Vittoria: luogo in cui il corpo mortale del committente sarà sepolto, restando però immortale l’incanto dello sguardo di Bernini – e quindi dello spettatore – su di lui. Questo grazie alla rifrangenza dello sguardo umano sull’eternità di quello artistico, magnificamente veicolata da quell’Estasi di Santa Teresa D’Avila  – prima opera frutto del periodo di profonda crisi del Bernini – così capace di rendere carne vibrante il freddo marmo; incondizionata fede ogni insinuante dubbio. 

Cappella Cornaro, Estasi di Santa Teresa d’Avila di Gian Lorenzo Bernini – Chiesa Santa Maria della Vittoria

Ed è di prodigiosa bellezza assistere al processo creativo attraverso il quale nelle mani di Bernini (un demiurgico Federico Gatti) la durezza informe del marmo si lascia liberare in uno spumeggiante panneggio di tensioni, che fanno da habitus all’estasi della Santa (qui interpretata da un’accogliente quanto seducentemente inafferrabile Irene Ciani). Un dolore così spirituale, il suo, – ma anche quello di chiunque posi gli occhi e il cuore su di lei – da divenire tocco di incantevole piacere dolce-amaro.

In un rimando di sguardi arriva così allo spettatore come, in taluni frangenti di profonda difficoltà esistenziale, insistere attraverso l’auto-controllo razionale dell’io sulla situazione di aridità emozionale non sia affatto efficace per poter rinascere a nuova creatività vitale. Sperimentare invece un dialogo di questa egemonia egoica con un’energia dal carattere inconscio, lasciandosi così travolgere da un terrore erotico, risulta un’esperienza incomparabilmente più ricca in bellezza.

Domenico Pincerno (angelo serafino) – Irene Ciani (Santa Teresa d’Avila) – Federico Gatti (Bernini)

Anche per questo motivo, a qualche livello, Bernini avvertiva come il suo irresistibile trasporto per il Teatro gli risultasse funzionale ad un’indagine più intima tra le dinamiche della natura umana e quella divina.

E non a caso il fido assistente Giovannino per aiutare il suo maestro a ricollegarsi ad un’energia creativa più dionisiaca, attinge dal baule di scena – quale crogiolo di vitalità alchemica – le energie più tempestosamente selvagge, mettendo in scena alcuni scatenamenti emotivi che furono il successo delle sue precedenti commedie (molto interessante qui il lavoro sulle scene e sulle maschere curato da Gaia Caponi, Camilla Martini, Rocco Papia).

Perché la vitalità creatività, e quindi esistenziale, non si nutre tanto di “sforzo” intellettivo e volitivo, quanto piuttosto della disponibilità d’ “ascolto” del mistero, spesso ferito, che siamo. 

Domenico Pincerno (Giovannino)

La compenetrazione di sguardi, resa possibile attraverso l’incontro con la testimonianza di vita di Santa Teresa d’Avila, scuote e rinvigorisce Bernini. Fino a scatenare l’irrompere nella sua vita della fulgente presenza immaginifica della Santa Teresa d’Avila di Irene Ciani.

Suo, un iniziale incedere furtivo che poi si libera nella sinuosità tortuosa propria del riemergere del desiderio vocazionale, che intende riappropriarsi del suo habitat. Coinvolgendo, in una danza di torsioni, la rigidità marmorea in cui si era trasformato lo stesso Bernini. C’è timore e c’è slancio, ora in lui. C’è cortesia cavalleresca e arte della fuga, nella Santa Teresa della Ciani. Tensione emotiva necessaria affinché in scena, e nella psiche dell’artista, torni ad abitare la vita viva: in dialogo tra sogno e concreta realtà. 

Federico Gatti (Bernini) – Irene Ciani (Santa Teresa d’Avila)

Lo spettatore avverte, con partecipe commozione, come l’insorgere di questa vitalità passi nel Bernini di Federico Gatti fino ad attraversargli la gola. Dalla quale scaturisce una vocalità liquida, capace di accogliere ingorghi che, non respinti, salgono per andarsi a sciogliere nei suoi occhi.

Federico Gatti (Bernini)

Domenico Pincerno (angelo serafino) – Irene Ciani (Santa Teresa d’Avila)

Occhi che, con sapiente circolarità, rimandano l’attenzione dello spettatore a quella capacità di “sostenere lo sguardo” anziché abbassarlo – e quindi di sostenere l’errore e la propria fragilità, anziché restarne sommersi – di cui prima dell’apertura del sipario aveva parlato Don Gabriele Vecchione, Presidente della “Comunità San Filippo Neri- E poi?”. Descrivendoci quella “Generazione Z” di cui la Comunità San Filippo Neri – E poi? – ama prendersi cura.  

Don Gabriele Vecchione

Un’Associazione, la loro, impegnata in progetti di guida e sostegno motivazionale verso i giovani e le loro famiglie, che ha scelto di autofinanziarsi attraverso il ricavato degli spettacoli organizzati in sinergia con L’Ufficio per l’Università del Vicariato di Roma, l’Accademia di Belle Arti di Roma, Pensieri Meridiani, Associazione Più Comunicazione e con il contributo dell’8xMille della Chiesa Cattolica.

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Lorenzo Sabene, Domenico Pincerno, Irene Ciani, Federico Gatti, Francesco d’Alfonso, Francesco Cotroneo, Enrico Torre


Rassegna eventi a sostegno delll’Associazione “Comunità San Filippo Neri – E poi ?”:

12 Aprile 2025 – Teatro Palladium

Oltre quello che c’è, drammaturgia e regia Francesco d’Alfonso liberamente ispirata agli scritti di Byung-Chul Han e T.S. Eliot, con Roberta Azzarone, Irene Ciani, Matteo Santinelli, Marco Tè e con la partecipazione straordinaria dell’ Ètoile del Teatro dell’Opera di Roma Rebecca Bianchi e di Alessandro Rende, accompagnati dal pianoforte di Dario Callà e dal violoncello di Mattia Geracitano

16 Maggio 2025 – Basilica di Sant’Anastasia al Palatino

Finché luce sarà per sempre, drammaturgia e regia Francesco d’Alfonso ispirata alla Passione di Sant’Anastasia romana, un monologo per attrice e violoncello con Irene Ciani e Mattia Geracitano

12-13 Giugno 2025 – Teatro Nuovo Ateneo Sapienza Università di Roma

Gran Teatro Bernini, drammaturgia e regia Francesco d’Alfonso, con Irene Ciani, Francesco Cotroneo, Federico Gatti, Domenico Pincerno, Enrico Torre, Lorenzo Sabane


Recensione di Sonia Remoli

FINCHE’ SARA’ LUCE PER SEMPRE – monologo per attrice e violoncello – scritto e diretto da Francesco d’Alfonso

BASILICA DI SANT’ANASTASIA AL PALATINO

16 Maggio 2025

In una splendida serata del maggio romano, è andata in scena sull’altare della Basilica di Sant’Anastasia al Palatino – antichissima chiesa romana risalente al IV sec., nonostante l’esterno barocco e l’interno settecentesco –  il secondo evento della Rassegna d’arte teatrale a sostegno dell’Associazione “Comunità San Filippo Neri – E poi“. 

Interno della Basilica di Sant’ Anastasia al Palatino

L’ Associazione  Comunità San Filippo Neri – E poi?, presieduta da don Gabriele Vecchione, è una comunità che si impegna in progetti di guida e sostegno motivazionale verso giovani che hanno smarrito la bellezza del desiderare. Giovani che, affetti da un eccesso di individualismo, anziché aprirsi alla condivisione con gli altri come si fa in un’autentica comunità, sono tentati a chiudersi in se stessi, appartandosi. 

Inseriti in una nuova comunità familiare, come quella “San Filippo Neri – E poi ?”, questi giovani vengono sostenuti nella scoperta di quella bellezza che porta ad individuare la propria vocazione talentuosa. Perseguendola con coraggio. Come accadde anche alla giovane Sant’ Anastasia che, pur appartenendo ad una famiglia pagana, scoperto il suo appassionarsi al cristianesimo, compì la scelta radicale di convertirsi e di rimanere fedele a questo credo.

I membri dell’ Associazione “Comunità San Filippo Neri – E poi ?” con Don Gabriele Vecchione (Presidente)

L’Associazione “Comunità San Filippo Neri -E poi?” ha scelto la filosofia di non chiedere aiuti a proprio sostegno, preferendo autofinanziarsi: questo spettacolo così come quelli della Rassegna – realizzati in collaborazione con Pensieri Meridiani e Associazione Più Comunicazione – sono resi possibili infatti con il contributo dell’8xMille della Chiesa Cattolica e con le offerte che si raccolgono in occasione della partecipazione a ciascuno spettacolo. 


Irene Ciani

(@photogennari)

In questo secondo incontro della Rassegna è andato in scena un monologo per attrice e violoncello dal titolo “Finché sarà luce per sempre”. L’attrice Irene Ciani, accompagnata al violoncello da Mattia Geracitano e diretta da Francesco d’Alfonso autore anche della drammaturgia, si è fatta interprete del racconto del martirio della santa vergine romana Sant’ Anastasia.

Mattia Geracitano

(@photogennari)

Fatto buio, le note del violoncello di Mattia Geracitano immergono la basilica in un’atmosfera di suspence, dove arpeggiano passi, che si fanno poi un vero e proprio camminare. Si fa giorno. E dal fondo della Basilica sopraggiunge una piccola ancella che – come a preannunciare visivamente la passione che sarà indossata da Anastasia – porta un drappo di velo rosso, che depone sull’altare.

Si ode un canto di una bellezza solennemente gioiosa. È il suo canto: il canto di Anastasia (una metafisica e carnale Irene Ciani). Con un velato incedere leggero ci viene a cercare, per condividere con noi un evento straordinario. 

Sono svanite di colpo le ferite delle percosse subite ripetutamente durante la sua prigionia.  “Com’è possibile …. Com’è potuto accadere…Signore mio Dio, che hai fatto!?” grida di gioia, incapace di comprendere con la logica questa misteriosa realtà.

Mattia Geracitano – Irene Ciani

(@photogennari)

Nel gridare si accorge di come la sua gola è arsa e di come si fa irresistibile la sua voglia di bere. E poi arriva la sensazione terribile del freddo. E subito dopo quella del buio continuativo. Allora sgorga di rabbia perché cerca un segno del suo sposo divino e non lo trova. “Mi hai abbandonata, come è successo a te” – gli urla con gli occhi lucidi di ira mista a commozione. “Mi lasci in questa notte che non conosce luce di speranza”- sibila liquefacendosi quasi fino a scorrere al suolo. ”E’ un mistero come tu possa esistere insieme al male: insieme all’ingiusta agonia del giusto” – gli urla tra i singhiozzi. 

Ma poi arriva una luce. E’ un uomo quello che le si fa prossimo: è Cirillo, un cristiano come lei, che le offre dell’acqua. Lei ne beve avidamente. E poi sceglie di raccontarsi a lui: “Mi chiamo Anastasia, sono romana e di nobile stirpe. Il nome (che significa resurrezione) e la vita, sono le cose più belle che i miei genitori mi hanno donato”. Gli racconta ancora come la testimonianza di alcuni cristiani la sedusse a convertirsi e un sogno particolarissimo le diede il benvenuto. E così lasciò tutto. Fu allora presa sotto l’ala protettiva di una nuova madre: la cristiana Sofia. 

Mattia Geracitano – Irene Ciani

(@photogennari)

Ma il demonio non smise mai di tentarla per farla desistere da questa sua scelta.  La tentò prima nella carne e, quando Anastasia riuscì ad uscire da questa disperazione, fece sì che i suoi genitori la denunciassero per non ottemperare il culto degli dei di Roma.

La prelevarono allora dalla casa di Sofia: “Sono pronta per la battaglia”- si offrì lei. E la condussero al Palazzo di Probo, dove per bocca dell’imperatore il demonio continuò a tentarla. Ma lei fu inflessibile: “ho già uno sposo: è Cristo. Niente potrà separarci perché il mio sposo è come un muro”. 

Per farle cambiare idea la portarono allora in piazza, nuda davanti a Roma. Ma i suoi occhi erano chiusi sul mondo e aperti solo su Dio. La riportarono in cella: Probo non mancava di tentarla con le sue proposte. Ma lei ripeteva di voler continuare ad essere ”sola con Dio: il suo sposo silenzioso”.

Irene Ciani

(@photogennari)

Passarono i giorni e venne lo stesso padre a farle visita, per dissuaderla dal suo matrimonio mistico. Lui era l’unico familiare a non rallegrarsi per quello che le stava capitando, a seguito della sua conversione.

Ma nulla. Tornarono allora a picchiarla violentemente “come una giovenca al macello”.  Ed è fulgentemente lacerante qui la flagellazione che si autoimpone con plastica drammaticità l’Anastasia della Ciani, enfatizzata da un sapiente disegno luci che nel momento più incandescente della passione sa renderne il suo essere sanguinante e ardente.

La voce si rompe, si strazia, ma è straordinario come la Ciani renda questa dilaniazione con una qualità vocale liquida, fresca. Ecco infatti una dolce luce farsi strada tra il sangue che scende a fiotti e la pelle che brucia. Anastasia avverte immediatamente la presenza del suo sposo: “conducimi tu, reggimi in piedi. Sorrido alla morte che è stata già vinta da colui che è, che fu e che sarà”. E si affida a questa dolce luce. 

Con estrema fatica tra le lacrime e il respiro spezzato, si fa strada un canto: come quello già ascoltato all’inizio. Ma i suoi aguzzini nell’ascoltarla ancora, nonostante tutto, cantare, andarono e le strapparono la lingua.

Irene Ciani

(@photogennari)

Anastasia si veste allora dell’estrema passione, accogliendo su di sé quel drappo rosso che la piccola ancella le aveva deposto premurosamente accanto tempo prima. “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” – dice. E continua: “Fino a quando, uomini, sarete duri di cuore?”

Ma il suo sposo impaziente la richiama: “Non tardare Anastasia, ti attendo con trepidazione! Vieni oltre la landa e la palude, oltre il dirupo e il torrente, finché sarà luce per sempre”.

Irene Ciani (Anastasia) – Mattia Geracitano


Sant’Anastasia fu arsa viva il 25 dicembre del 304, durante l’ultima persecuzione dei cristiani ad opera dell’imperatore Diocleziano.

Visse la sua vita come un pellegrinaggio segnato dalla persecuzione e dalla sofferenza dovuta alla resistenza alle tentazioni del Demonio. Non a caso la chiesa a lei dedicata fu edificata proprio alle pendici del Colle Palatino, quasi come sul fianco (luogo particolarmente vulnerabile del corpo) di Sant’Anastasia: lei che divenne la “stazione” vivente, il luogo di avvistamento e difesa dai pericoli delle tentazioni del demonio. 

È stata definita, in greco, Farmacolìtria (Guaritrice dai veleni), e in russo, Uzoreshìtel’nitza (Colei che libera dai vincoli: protettrice dalle malattie e dagli inganni del Demonio).

Nel 1995 due icone che la raffiguravano – una dipinta secondo la tradizione occidentale e l’altra secondo quella orientale – furono spedite nello spazio sulla stazione MIR nell’ambito della missione “Santa Anastasia – una speranza per la pace” per contribuire alla riconciliazione dei popoli dell’ex-Jugoslavia (i Croati e gli Sloveni sono in maggioranza cattolici, i Serbi in maggioranza ortodossi). L’iniziativa era patrocinata dall’Unesco e le icone furono benedette da papa Giovanni Paolo II, dal patriarca di Mosca Alessio II e dal patriarca di Serbia Pavel. Al loro ritorno sulla Terra le icone giunsero a Sremska Mitrovica, terra del martirio della santa, per contribuire, secondo le intenzioni delle Chiese Cattolica ed Ortodossa, alla pacifica convivenza dei popoli balcanici.


Rassegna eventi a sostegno delll’Associazione “Comunità San Filippo Neri – E poi ?”:

12 Aprile 2025 – Teatro Palladium

Oltre quello che c’è, drammaturgia e regia Francesco d’Alfonso liberamente ispirata agli scritti di Byung-Chul Han e T.S. Eliot, con Roberta Azzarone, Irene Ciani, Matteo Santinelli, Marco Tè e con la partecipazione straordinaria dell’ Ètoile del Teatro dell’Opera di Roma Rebecca Bianchi e di Alessandro Rende, accompagnati dal pianoforte di Dario Callà e dal violoncello di Mattia Geracitano

16 Maggio 2025 – Basilica di Sant’Anastasia al Palatino

Finché luce sarà per sempre, drammaturgia e regia Francesco d’Alfonso ispirata alla Passione di Sant’Anastasia romana, un monologo per attrice e violoncello con Irene Ciani e Mattia Geracitano

12-13 Giugno 2025 – Teatro Nuovo Ateneo Sapienza Università di Roma

Gran Teatro Bernini, drammaturgia e regia Francesco d’Alfonso, con Irene Ciani, Francesco Cotroneo, Federico Gatti, Domenico Pincerno, Enrico Torre, Lorenzo Sabane


Recensione di Sonia Remoli