CONTRA GIGANTES

NARRAZIONE PER ATTORE SOLO E COMPLICI SPETTATORI

Testo drammaturgico e regia di Horacio Czertok

TEATRO CORTESI DI SIROLO

8 Agosto 2025

“ Se nessuno lo fa, lo farò io! ”.

E’ Miguel de Cervantes a far emergere dal “petto” del suo Don Chisciotte questa dichiarazione d’amore per la vita, dalla fulgente bellezza esistenziale: un desiderio sovversivo, che non teme il ridicolo, nel suo voler prendersi cura della sorte dei più svantaggiati.

E così facendo – ovvero nel concedere al personaggio di Don Alonso di poter essere “anche” Don Chisciotte – Cervantes “restituisce” ad ogni uomo la possibilità di esprimere “anche” altre aree della propria personalità .

Horacio Czertok

E’ questa, forse, la più luminosa tra le brillanti decifrazioni che emergono dallo sguardo di Horacio Czertok al celeberrimo testo di Cervantes. Testo oggetto di un’indagine, che non smette di appassionarlo da trenta anni. 

Decifrazioni, le sue, rivelate oltre che nello spettacolo cult “Quijote!” anche nel testo che dà vita a questo spettacolo: “ContraGigantes, narrazione per attore solo e complici spettatori”. 

La dichiarazione d’amore “Se nessuno lo fa, lo farò io” scaturisce infatti dal trasporto seduttivo, che può originarsi dall’incontro tra un uomo qualunque e la lettura di libri (qui di letteratura cavalleresca). 

Un incontro che trasforma così tanto chi legge, da sentire l’esigenza di fare di ciò che si è letto “un concreto” stile di vita. 

Perché i libri sanno leggerci dentro: spesso non siamo noi a leggerli, ma sono loro a leggere qualcosa di noi che ancora non sappiamo.

Una seduzione che nella vita pratica condurrà Don Alonso “a darsi alla macchia”, latitante cioè da quella vita troppo confortevole, propria di quando il sapere resta fine a se stesso, perché disgiunto – e quindi indifferente – dalla pratica vitale. 

L’idalgo Don Alonso si scopre disponibile, invece, non solo a vendere le sue terre per acquistare libri sulla cavalleria ma anche a “metterci il petto“: a decidere cioè di farsi lui stesso “cavaliere”, a servizio della vita di chi è in difficoltà. Combattendo in prima persona, cioè “ContraGigantes” (contro i Giganti).

Horacio Czertok

“Giganti” che – nell’acuta indagine interpretativa di Czertok – si rivelano metafora di “luoghi chiusi”, non solo fisici ma anche psichici. 

Quelle “mura”, cioè, che edifichiamo dentro di noi e che rispondono, ad esempio, al nome di indifferenza, pregiudizio, egoismo, violenza. E che, in generale, si configurano come resistenze interiori che impediscono l’erompere di un vero incontro, di una vera osmosi fertilmente contaminante con l’altro da noi. Relazione che, sola, si rende capace di trasformarci: di farci crescere, come umani. 

Inclinazione relazionale che da 50 anni caratterizza il fare poetico e politico del Teatro Nucleo di Ferrara (e della precedente Comuna Nucleo di Buenos Aires) di cui Horacio Czertok, assieme a Cora Herrendorf, è co-fondatore.

Complice il romantico mistero di un sognante chiaro di luna, venerdì 8 Agosto dal palco del Teatro Cortesi di Sirolo, l’incantevole dolcezza scalza di Horacio Czertok ha portato in scena un Cervantes sovversivamente assente. 

Un misterioso Cervantes che lui da trenta anni ha cura di far emergere, decifrando allo spettatore quel magnifico testo del Don Chisciotte (che tutti crediamo di conoscere) attraverso l’incanto della sua parola. 

Proprio come lo stesso Cervantes fece, a suo tempo, quando la messa in scena del suo Don Chisciotte non fu compresa nella sua complessità. 

Ecco allora che Horacio Czertok, in un suggestivo gioco di specchi, decide di farsi proprio quel “cronista” che tanto Cervantes anelava: “O tu savio incantatore, chiunque tu sia per essere, a cui sarà dato in sorte d’essere il cronista di questa peregrina storia…”. 

Anche lui, Czertok, ingiustamente ospite di una prigionia. Anche lui indomito nel proteggere il proprio ingegno pratico di attore-cittadino, al servizio di chi è in difficoltà. 

Anche per lui, come per Don Chisciotte, “in tutte quelle prove infelici il suo ingegno e il suo cuore mostrarono sempre la vera loro eccellenza”.

Esempi di un coraggio e di una perseveranza che sanno “darsi alla macchia”, cioè al di là di un confortevole sguardo miope ed egoistico, tutto chiuso su interessi personali. 

Uno sguardo che ci tenta e che ci fa credere di essere acuti, muovendoci in realtá come ciechi: guidati da quei “giganti” che sanno vivere solo al chiuso, solo tra le mura di sguardi stretti, come quelli dei nostri egoismi.

Il teatro Julio Cortàzar – casa del Teatro Nucleo di Pontelagoscuro, eccellenza della ricerca e della pratica teatrale nazionale e internazionale – non a caso sorge sulla soglia offerta dalla riva destra del fiume Po, dove s’incontrano l’Emilia e il Veneto. E’ quindi, anche morfologicamente , una testimonianza di felice contagio tra i territori di due aree geografiche diverse. 

Perché “vivere” significa interrogarsi, ci ricorda Horacio Czertok. Continuamente. 
Perché attraverso il nostro interrogarci trova espressione il desiderio di sapere qualcosa in più, di “diverso”. 

Un desiderio che non si accontenta di essere domato, ma che cela fiducia nel nuovo e quindi nel “diverso”, con cui sì verrà in contatto.

Un diverso”, che possiamo incontrare “fuori” e “dentro” di noi – come accade a Don Chisciotte. E che ci permette di conoscere meglio noi stessi. Così da liberare il nostro potenziale espressivo, in quanto liberi dalla sottomissione a quei “Giganti”, che hanno potere su di noi solo se rimaniamo chiusi nelle mura di un’effimero senso di sicurezza, che ci rende indifferenti alle ingiustizie.

Miguel de Cervantes trova “la chiave” per parlarci di questo attraverso il suo “Don Chisciotte”. E Horacio Czertok, nella sua lettura interpretativa del testo, individua quegli indizi che conducono verso questa “chiave”.

Czertok incanta lo spettatore con il potere della sua parola. Una parola che riaccende quell’ “ingegno” che ci rende uomini “umani”. 

Quell’ingegno che sa creare, anziché omologarsi. 
Quell’intelligenza clandestina, creativa e pratica, che contraddistingue lo stare al mondo della Comuna Nucleo prima, e del Teatro Nucleo ora.

In uno spazio scenico nudo, disinteressato al “rappresentare” per concentrarsi tutto sulla presenza e sulla relazione, il servitore-cronista di Czertok si dà allo spettatore in una modalità “musicale” tutta sua: di complice trascendenza. Svelando “i codici cifrati” di un testo estremamente conosciuto, qual è il Don Chisciotte, ma letto sorvolandone la segreta complessità.

Quella complessità che veste anche il corpo di Czertok di stratificazioni cromatiche: fisiche e psichiche. Un “habitus” che attrae lo spettatore perché capace di veicolare la bellezza della complessità, con piacevole affabilità.

Si diffonde così, nella sala del Teatro Cortesi, quella meravigliosa permeabilità tra realtà e immaginazione, che sola permette di penetrare dimensioni nascoste. Alla creazione del significato delle quali, lo spettatore è invitato a partecipare. 

Perché Horatio Czertok sa come solleticarne l’attenzione ricca in ingegno. Fino alla fine della sua performance. Anche quando ci lascia andare con un finale che – come un taglio che cura – non chiude davvero questo nostro “incontro” ma piuttosto apre alla potenza di un critico interrogarci. 

Dove anche noi possiamo scoprirci investigatori di noi stessi, al servizio degli altri. 


Autentici spettatori, “complici di una narrazione per attore solo”. 

-.-.-.-.-

Recensione di Sonia Remoli

Recensione del concerto per piano solo della pianista RITA MARCOTULLI – A lei il Premio Nazionale Franco Enriquez 2024 –

TEATRO CORTESI di SIROLO, 23 Agosto 2024 ore 21:30 –

La sua è un’entrata in scena che coinvolge sfere sensoriali differenti: é felpata all’udito, morbida agli occhi.

La sua è la grazia della discrezione, che ieri sera si è vestita di verde: il colore della libertà a procedere, ad andare avanti al di là dei netti e regolari confini.

Verde é il colore di base della sua musica, la quale è un inno contro la schiavitù delle separazioni e delle gerarchie. E infatti partendo da questa base cromatica Rita Marcotulli, geniale e pluripremiata compositrice e pianista di musica jazz, desidera restituire valore, e quindi identità, a tutte le diverse colorazioni sonore della sua verve creativa, che le chiedono di essere espresse. Come avviene nel Teatro. Come avviene nella Vita.

Rita Marcotulli ieri sera al Teatro Cortesi di Sirolo

La Marcotulli incarna quel tipo di eleganza che si apre generosamente alla vocazione all’integrazione.

Quell’eleganza che sa ospitare e promuovere tutte quelle diverse fioriture, che on the road chiedono di essere ascoltate e di avere uno spazio per esprimersi.

Ieri sera, nella meravigliosa cornice del Teatro Cortesi di Sirolo, emblema per vocazione architettonica ed artistica di integrazione civile e di valorizzazione sociale, abbiamo avuto l’onore di assistere al prendere forma di questo stato di grazia creativo.

Il Teatro Cortesi di Sirolo, ieri sera prima dell’inizio del concerto di Rita Marcotulli

Liberi dall’esigenza di un programma di sala, disponibili a non rispondere alle pretese di quell’eccesso di controllo che ci impone di voler sapere sempre tutto prima, ci siamo lasciati cullare, trascinare, strapazzare – in totale disponibilità d’ascolto – da quel multiforme processo creativo che la Marcotulli si è resa a sua volta disponibile ad ospitare.

La compositrice e pianista Rita Marcotulli

Abbiamo così potuto assistere ad una sublime dimostrazione di come la gioia di vivere si inventi continuamente nuove strade per non lasciarsi incatenare dall’ossessiva rassicurazione all’uniformità. A quell’omologazione che mette a tacere il fulgore della bellezza delle diversità. Rita Marcotulli ci dà prova di quale onorevole uso si può fare del rispetto della tradizione e di come se ne può essere testimoni: mantenendola vitale attraverso fedeli tradimenti sperimentali.

Rita Marcotulli

Tra le dimostrazioni più luminose, le interconnessioni con la poetica sincerità della narrazione cinematografica della Nouvelle Vague (François Trouffaut e quindi anche Jean Renoir) ma anche interconnessioni con la folle e dannata pulsione d’amore scritta e descritta da Pier Paolo Pasolini, e interpretata da Domenico Modugno, in “Cosa sono le nuvole”. Ma poi, ancora più dichiaratamente inclusivo, lo sperimentalismo sincretico delle collane vibrazionali, magicamente esotiche, dell’album “Koinè”. Qui dall’acuto ed estroso – e quindi rispettosamente libero – sperimentalismo sincretico della Marcotulli, prende vita qualcosa di cosí meravigliosamente inaspettato la cui sonorità, a tratti, ricorda quella di un caleidoscopico clavicembalo.

Rita Marcotulli

Perché le sue creazioni sono come impasti lievitanti di colori, di sapori, di profumi, di tattilità. Una tattilità di cui si fa strumento la diteggiatura, che si concerta con la danza dei piedi e poi con quella di tutto il corpo. Ma senza inutili eccessi: è quella di Rita Marcotulli una rivoluzione morbida, vellutata, felpata. Perché inclusiva, aperta a nutrirsi di fertili differenze.

La compositrice e pianista Rita Marcotulli

Il pubblico ha espresso il proprio entusiasmo attraverso una calibratissima attenzione che sul finale si è scatenata in interminabili applausi.

A conclusione della magica serata, Paolo Larici, Presidente e Direttore Artistico del Centro Studi Enriquez, è salito sul palco per dedicare la straordinaria bellezza della serata all’indimenticabile costumista Elena Mannini, scomparsa da appena poche ore.

E con immensa gratitudine ha consegnato il Premio Franco Enriquez 2024 a Rita Marcotulli per l’unicità del suo impegno civile e sociale, dimostrato attraverso l’esigenza di rintracciare e concertare sempre nuove identità collettive e traducendole poi magistralmente nel fascinoso linguaggio della musica.

Rita Marcotulli riceve da Paolo Larici il Premio Franco Enriquez 2024

————

Recensione di Sonia Remoli