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Recensioni teatrali di Sonia Remoli

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Recensione della Raccolta di poesie CANTI DELLA GRATITUDINE di Franco Arminio –

12 gennaio 20248 Maggio 2024 Sonia Remoli2 commenti

BOMPIANI

T’inebria come un solletico, la gratitudine. 

Nasce da un brindisi – canta il poeta Franco Arminio – da un inno, da un canto quotidiano: quello che onora il manifestarsi della “bellezza sprovveduta”.

Il manifestarsi cioè della sorpresa per ciò che è inaspettato: come la neve, che a Bisaccia -il paese di Arminio- non sa più dove cadere, tanto tutto è vuoto.

Bisaccia (Avellino)

Ma “bellezza sprovveduta” è anche il manifestarsi della sorpresa per ciò che, nonostante tutto, si ostina a perseverare: come le capre di Roghudi, preziosa etnia dell’Aspromonte.

Capra di Roghudi (Reggio Calabria)

La “bellezza sprovveduta” è una magica sensazione che tutti noi possiamo permetterci di avvertire e di provocare negli altri. Perché la natura umana si caratterizza proprio per essere imprevedibile: fatta di sorprese. Una “costituzione” preziosissima la nostra, che dobbiamo custodire e mantenere vitale attraverso il provocare e l’essere provocati da meraviglie “impreparate”.

Perché vivere “è una piccola, breve, irripetibile occasione” – ci ricorda Franco Arminio.

E la cosa migliore che si possa fare è “guardare”: regalare attenzione, riconoscere i piccoli grandi mutamenti e le ostinazioni di ogni giorno, di ogni uomo. E poi amarli. E amarsi.

Franco Arminio

E, forse non a caso, il primo canto di questa raccolta di poesie e di prose poetiche è dedicato alla “ferita dei non amati”: al danno che la disattenzione e il mancato riconoscimento dell’altro hanno provocato in coloro che adesso non trovano pace.

A loro in primis va lo sguardo del poeta, che già in dedica al libro ricorda al lettore come, oltre ai gesti, anche le parole possano essere non solo un balsamo rivitalizzante ma anche violenza pura: “stella o pugno”.

E quindi occorre farne buon uso: per accorgersi della 

“ferita di ognuno

quella che si vede

e quella che sanguina

all’interno

nel fosso misterioso

della carne“.

E se capita di non accorgersi della ferita dell’altro, prezioso è riuscire a dire “grazie” proprio a quell’errore che si fa o che si subisce. Per ripararlo ed imparare da quell’errore; così da evitare di rifarlo in futuro.

Terremoto in Irpinia – 23 novembre 1980 –

Ferite sono pure le case e i luoghi degli uomini: le loro crepe parlano di abbandono. Ma anche di ospitalità: perchè “ogni creatura è qui per essere vista e sognata”.

Perchè “a guardarsi bene intorno una gioia si trova sempre“, ogni giorno. 

Perché la Gioia è compagna dell’Inquietudine. E allora può capitare anche che 

“arrivi uno sguardo

e comincia il gioco

dell’amore,

fino a quando l’alba chiusa

in un cappotto frantuma il buio

e cominciano a tremare le cose,

parte la corriera, rincasano

le stelle, il barista espone

i cornetti, il vecchio

ritrova la sua vigna”.


Biblioteca Tilane – Paderno Dugnano (Milano)

Al poeta si chiede di dire “qualcosa di nuovo”. Per farlo deve mettere la sua vita nelle mani della morte. Nascono così, dalla morte incontrata e accolta da Arminio nelle proprie “crepe”, canti struggenti ed eccitanti che non dimenticano nessuno: chi è malato, chi vive in guerra, chi si si sta congedando dalla vita, chi vive per strada, chi sopravvive a un terremoto geologico, chi a un terremoto amoroso. Perché “ogni cosa va poggiata con cura, ogni passo che facciamo in superficie/deve badare al fuoco che c’è sotto”.

Lo sguardo attento e commosso di Arminio ha la capacità di indurre alla vicinanza anche chi legge. È lui a prendersi cura di raccogliere “il fuoco dell’impensato/ e il fuoco di chi quel mondo ce l’ha raccontato”.

Franco Arminio al Festival “La luna e i calanchi” di Aliano (2019)

Sorella della Gratitudine è l’Amore: la rivoluzione che ci sospinge verso quelle che il poeta chiama “Creature dal cuore azzurro” : “Fare l’amore/e leggere poesie belle/è un modo per non prendere ordini/dall’epoca. Ridere, baciare, è un modo di vendicare/i morti nelle bare”.

Sanno di mare, le “Creature dal cuore azzurro”, soffia nella loro bocca vento greco:

“Il loro desiderio/è candido e bestiale /è libero, è fuori da ogni cella. Trovare un desiderio come questo/è incontrare il centro di una stella”.

Dario Brunori e Franco Arminio

Corpi e desideri così vanno portati nei luoghi e i luoghi nei corpi: questo è il desiderio di Franco Arminio. Perché i Luoghi sono fratelli alla Gratitudine. E hanno bisogno di un nuovo umanesimo, che non “secchi le radici greche e metta una conca di plastica dove era piantato il mito”. 

Mostra personale di Franco Arminio “Presenze, esercizi di paesologia” a cura di Stefania Pieralice presso Università eCampus di Roma – fino al 31 gennaio p.v.


“Perché ora nell’aria c’è una sorpresa 

per chi la sa vedere: quel mondo abbandonato 

è tornato necessario

a se stesso e agli altri.

Ora c’è bisogno di contadini

più che di commercianti,

non serve chi mette in giro il troppo,

ma chi sa usare il poco, il raro.

Ora più che mai sono freschissime

le parole di Rocco Scotellaro”.


Compagna alla Gratitudine è l’Inquietudine, si accennava sopra: ma ora, qui nella sezione “Geografia dell’Inquietudine”, Arminio ci confida come la sua inquietudine si origini anche dall’eredità del “continuo temere” materno e dalla capacita paterna “d’intrattenere la solitudine con i clienti”. E ci rivela che:

Scrivo quando mi sento morto più che vivo,

quando desidero o mi commuovo,

quando sono brusco, impaziente,

eccessivo.

Ma la “bellezza sprovveduta” ha fatto sì che “un militante dell’inquietudine sia diventato per molti un consolatore militante”.

Franco Arminio

E questo, forse, è potuto accadere perché Franco Arminio riesce a rendere interessante “il buio”: sa indossarlo. Se ne lascia avvolgere. Ma non irretire. E così fa esperienza – e ce ne rende dono ogni volta – che sul confine del buio si può incontrare l’alba. E se lei tarda ad arrivare allora tocca inventarsi un modo per aspettarla. O per cercarla meglio. Perchè è così – come la luce in un quadro del Caravaggio – che arriva la gratitudine. 

Dio non è morto.

Dio ci ha licenziato.

La poesia lavora

per farci riassumere.

La poesia 

è il nostro sindacato.

A noi il compito intimo, sensuale e politico di una gioia da inventare.

Franco Arminio

“Immaginate di aprire la porta con dolcezza, come se fuori vi aspettasse un incanto”.

“La poesia serve a tenere tutti i sensi aperti”.

Brindiamo alla vita: siamo grati !


Leggi anche la recensione dello Spettacolo teatrale

Poetica di Franco Arminio

testi e regia di Tindaro Granata


Recensione di Sonia Remoli

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Mostra fotografica di FRANCO ARMINIO – Presenze, esercizi di paesologia

2 dicembre 20233 aprile 2024 Sonia Remoli1 commento

Debutta a Roma lo sguardo fotografico del poeta paesologo Franco Arminio

La mostra, curata da Stefania Pieralice, è ospitata presso l’ Università eCampus dal 1° Dicembre 2023 al 31 Gennaio 2024 –

E’ la fotografia a guidare il suo sentire poetico. E a sedimentarvisi: quella di Franco Arminio è una poesia che si dà per immagini. 

Franco Arminio

“Non c’è nulla di meglio – ha confidato ieri al pubblico presente alla conferenza stampa presso l’Università eCampus – che guardare. E camminare”.

Guardare ciò che c’è fuori di noi – continua Franco Arminio – dà significato alla vita: è un ottimo modo di vivere che, distraendoci da tentazioni narcisistiche, ci predispone ad uno stile di vita incline alla clemenza.

Ci predispone cioè ad uno sguardo che sa accarezzare ciò che è piccolo e dimenticato. Ciò che rischia di andare perso.

Fino a sentire l’esigenza urgente di recuperarlo, donandogli vita attraverso l’attenzione.

Franco Arminio

A salvare i piccoli mondi antichi oramai abbandonati di cui l’Italia è costellata è un fotografo autodidatta che si avvale di uno smartphone. Uno scatto, il suo, scevro di retorica e vocato al recupero di un patrimonio ignorato – ma in realtà irrinunciabile – con il quale ridisegnare una geo-socialità politica. Un fotografo paesologo: sua l’ideazione del concetto di “paesologia” e la relativa fondazione di una Casa della paesologia.

Camminando tra i 19 scatti ospitati al quarto piano dell’Università eCampus non sfugge, tra gli altri aspetti, la sublime bellezza con la quale Franco Arminio è riuscito a cogliere le epifanie in cui può declinarsi l’attesa.

Ci svela allora che l’attesa può manifestarsi prendendo le sembianze di un velo multicolor e multi frammentato, così come quelle dell’apparente trasparenza adamantina propria dell’immobilità.

Attendere può diventare un’ossessione a “fare muro” o può deformarsi dentro una lacrima di nostalgia.

Fino a raggiungere la furia di chi l’attesa la buca, per urlare sempre più forte: “dove sei !”.

C’è poi, invece, chi dell’attesa sa fare un’arte: quella dell’accoglienza, della clemenza.

E allora la sfida in una partita; oppure le dà il benvenuto invitandola a sedersi; o ancora si prende cura di ridipingerle la casa dove la farà soggiornare. C’è addirittura chi ha saputo tenerla sempre nelle mani.

Tante attese, un’attesa.

Ora sta a noi far sì che il recupero di questa geografia umana non si trasformi in un’attesa beckettiana.

Perché Godot siamo noi.


In tutte le librerie dal 2 Gennaio 2024

Bompiani

Leggi la recensione

In tutte le librerie dall’11 Gennaio 2024

Internopoesia


Recensione di Sonia Remoli

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