dal 21 al 23 Marzo 2025

Ma sarà proprio vero che “l’energia genera sempre energia” e che “non bisogna fermarsi mai”?
Cosa prende forma ad un certo punto della vita tra un “mi hanno insegnato” e un “mi manca” ?
Che uso si deve, o si può, fare delle proprie origini professionali e personali ? E che cosa significa trasmetterle ?
Insomma, cosa s’insinua “dietro la luce” di una danzatrice e di una donna di successo ?

Cristiana Morganti – performer di fama internazionale diplomata in danza classica e in danza contemporanea e formatasi per oltre un ventennio al Tanztheater Wuppertal Pina Bausch, approfondendo lo studio sulla voce e sulla ricerca teatrale con gli attori dell’Odin Teatret di Eugenio Barba – ci invita con ironica e provocante dissacrazione a “rompere” la quarta parete e a sintonizzarci sulla sua lunghezza d’onda. Concedendo libero corso a tutto ciò che abbiamo sacrificato per un determinato periodo della nostra vita e che ora ci va troppo stretto per riuscire a continuare a farlo.
Ma cosa si può fare – di creativo – di questo invadente disagio?

(ph. Ilaria Costanzo)
Sorprendendoci continuamente, la Morganti ci tiene alla poltrona di sala tesi a spiccare il volo: ognuno il proprio. Un volo nuovo, un nuovo inizio: come è accaduto a lei, subito dopo che la vita l’ha scaraventata a terra.
Ma “stare a terra” può aprire a nuovi orizzonti, a nuovi desideri, che in parte tradiscono i precedenti e in parte se ne fanno personali – e quindi liberi – legami.
E così, ad esempio, l’essenza dell’iconica sedia delle origini (vedi il Café Müller di Pina Bausch) resta ma prende le sembianze di una morbida, leggera, coloratissima, rimbalzante o sprofondante poltrona gonfiabile.

(ph. Ilaria Costanzo)
Rosa fluo: un colore brillante, impossibile, impudente, energico.
Un colore che nel corso della performance la Morganti inizia anche progressivamente ad indossare e a fare suo, come un nuovo temperamento.
E che associa al nero: un colore in perenne espansione, pronto ad inghiottire tutto. Ma sebbene sia la traduzione dell’assenza di luce, nessun nero riesce ad esserne totalmente scevro.
Soprattutto per una donna e una professionista come la Morganti che, interrogandosi, scopre di non essere solo rigorosa ma anche curiosissima e quindi restia a scegliere rigidamente. Insofferente, ora, a fare tagli, sebbene una parte della sua psiche più sabotante la inviti a farlo.

E’ il suo gesto danzante così poetico a parlarcene, nel momento in cui lo vediamo reiteratamente geometrizzarsi in una chiusura, in un perimetro, in un limite che separa e non invita ad un prossimo nuovo incontro.
Così come si rivela di lacerante ironica bellezza il suo modo di rendere creativo il dissidio tra fragilità e forza. Come quando, ad esempio, entra in relazione con uno dei dictat asfissianti della propria formazione, prima cercando di sublimarlo in un canto dalla luminosa ironia melodrammatica e poi – ancora non paga – rinunciando alle stesse parole per affidare lo scioglimento del disagio al dialogo tra l’espressività corporea e quella musicale.

(ph. Antonella Carrara)
Perché lei si riscopre golosa di vita, laddove la vita e la danza le hanno richiesto l’ascesi della rinuncia. Ma l’esplorazione del limite, non come separazione ma come soglia di dialogo con l’oltre, ora ha la meglio sulla sua mitica compostezza. Messa a dura prova anche da terremoti esistenziali.
Ecco allora che la sua parola diviene “ironica” perché – proprio come sosteneva Kierkegaard – «L’ironia è la via; non la verità, ma la via». Perché l’ironia è come un mare, in cui ci si può tuffare per avere un «tonico refrigerio» quando l’aria è troppo pesante.

(ph. Ilaria Costanzo)
Concetti fascinosamente visualizzati attraverso gli originali e raffinati video di Connie Prantera e da una drammaturgia luminosa curata da Laurent P. Berger.
Una performance – questa di Cristiana Morganti affiancata alla regia da Gloria Paris – sorprendentemente spiazzante, sapientemente provocatoria, profondamente liberatoria, vibrantemente energizzante.
Anche per lo spettatore.

Recensione di Sonia Remoli
