TEATRO BASILICA, dall’ 11 al 28 Aprile 2024 –

Sono ragazzi di oggi, ma basta un accessorio e si vestono di passato.
Sono “persona” e “personaggio”: in trasparenza. Si presentano anagraficamente come persone e ci anticipano qualcosa di essenziale del loro personaggio, del suo destino.
Sono voce d’entusiasmo; sono corpi dotati di un eccesso di energia.
Non ci celano nulla, tutto è “a vista”: i cambi d’abito, gli inserti musicali. Le entrate e le uscite non conoscono quinte. Neanche quando i corpi si preparano ad entrare dentro altri corpi, dentro altre posture, dentro altre vocalità.

E’ la storia di padri e di figli, di ieri e di oggi. E’ la storia di eredità affatto interessanti: troppo distratte, troppo proibitive. Che generano figli, testimoni degli stessi eccessi.
E’ un tempo inquieto: come il nostro, come ciclicamente capita si verifichi.

E’ una storia di intrighi e di violenza che non esclude però l’apertura verso “un inno alla gioia”: quegli accordi composti da Schiller nel 1775 e musicati da Beethoven nel 1826 continuano a risuonarci.

Questo dramma teatrale, rappresentato nel 1782 a Mannheim da un giovane Schiller, fu un successo clamoroso: si racconta che durante la rappresentazione alcune signore siano svenute dall’emozione e che gli spettatori si siano abbracciati perché coinvolti emotivamente dall’azione. Qualcosa di simile accadde alla rappresentazione del 1898 di Stanislavskij de “Il gabbiano” di Cechov.

E anche ieri sera, nella sublime cornice del Teatro Basilica, a fine rappresentazione grande è stata la commozione e l’entusiasmo del pubblico.

Gli interpreti del Gruppo della Creta – (in o. a.) Matteo Baronchelli, Stefano Braschi, Vittorio Bruschi, Jacopo Cinque, Gianni D’Addario, Lucio De Francesco, Alessio Esposito, Lorenzo Garufo, Amedeo Monda, Laura Pannia, Donato Paternoster – guidati dall’ acuto sguardo registico di Michele Sinisi, riescono davvero molto efficacemente nel trasmettere tutta la potenza e tutta la necessità che anche il nostro secolo – che tende a concentrarsi nel “ruminare il passato” – ha di qualcosa e di qualcuno che favorisca il fermento, proprio come “lievito di birra”.

Una necessità di padri che sappiano essere padri rigorosi ma stimolanti e di figli che ereditino lo stimolo della “legge del padre” per fermentare fertilmente.
E – come già sosteneva vibrantemente Schiller – è il Teatro quella “istituzione morale” capace di rendere fecondo “il gioco” della vita: quello tra padri e figli, tra singolarità e collettività, tra ragione e sentimento.
E ci riesce attraverso “la bellezza” della sua Arte: facendo “cadere le bende dagli occhi” e sublimando “la vanità puerile” in impegno collettivo.
Dando vita così a un nuovo Umanesimo.

Il regista Michele Sinisi
Recensione di Sonia Remoli
