EINAUDI, Collezione di teatro 456
Da questo testo il Teatro Franco Parenti ha prodotto l’omonimo spettacolo che l’8 Luglio 2021 ha debuttato al Festival di Spoleto, con Marco Foschi, Federica Fracassi e Danilo Nigrelli e con la regia di Valter Malosti.

La bellezza di certe verità è inafferrabile. Ma ci ospita. Possiamo lasciarci le nostre tracce. È così.
Come accade con la neve: quella, ad esempio, sul fondo della scena qui descritta.
Una neve che abita un confine.
In quanto tale, un confine si dà come inizio e come fine di qualcosa.
Ma può darsi anche come coesistenza di un inizio e di una fine di qualcosa: come soglia di un incontro, di una comunione.
Come i protagonisti di questa narrazione: sono 3 ma anche 1.
E’ la bellezza di certe verità, come quella della religione cristiana e dell’inconscio psicoanalitico.
I tre – un figlio, una madre e un soldato/padre spirituale – non si rassegnano a concepire il confine tra la vita e la morte come una “separazione” tra un prima e un dopo.
La narrazione dei loro vissuti ci parla di un desiderio di vita che non esclude la morte ed è così consapevole da fare di questo presunto confine – sperimentato in molte occasioni della loro vita – un luogo d’incontro e quindi di coesistenza:
Tra un passo e l’altro
Tra un battito e l’altro
Tra un sentire e un mancare
Tra il totale altruismo di madre e l’insostenibile leggerezza dell’essere dei padri
Tra battesimo ed estrema unzione
Tra l’amore diverso di ciascuno dei due amanti
Tra il restare di un nome e il corpo che muore
Tra il durare e il resistere

Massimo Recalcati
E’ così che la scrittura di Massimo Recalcati, noto psicoanalista e saggista, ci porta a fare esperienza dell’ eternità del caduco: dell’irresistibile trascendenza legata al piacere dei sensi.
In primis, il vedere: quello che riceviamo in dono dai nostri “piccoli occhi mortali” accesi dalla luce, partorita dal buio.
Luce che a sua volta partorisce la vita e insieme la morte. E rende possibile l’entrata in scena di un altro meraviglioso senso: il tatto. È la bellezza dell’aderire. Che non significa afferrare. Ma contagiarsi nell’abbracciare un’attesa.
Recalcati canta la continua meraviglia di un giorno qualsiasi, quella trascendenza che scende sulla quotidianità, come la polvere sulla consuetudine immortalata nelle opere di Giorgio Morandi.
Recalcati canta la bellezza irripetibile dei nostri corpi, così come sono: lungi da un desiderio di perfezionamento.
Recalcati fa venire alla luce un testo dalla viscerale e lisergica potenza sinestetica: che riusciamo a “sentire” anche acusticamente, olfattivamente, tattilmente e in bocca. Al di là dei principi della logica.
È il racconto della rievocazione della “passione del vivere”: la preghiera delle preghiere.
Un testo sull’urgenza di nascere, non solo una volta ma ancora e ancora: tutte le volte che la vita si scontra fertilmente con la morte.
Tre personaggi, tre diversi modi di essere ebbri di vita. Per se stessi e per gli altri.
Tre declinazioni di ostinato insistere a voler vivere: anche quando l’ impossibilità a proseguire diventa direttamente proporzionale all’impossibilità a non proseguire. Uno strazio e un’eccitazione che non escludono la tentazione a lasciarsi andare e a gridare contro Dio, come Giobbe.
Ma su tutto vince l’urgenza dell’inafferrabile bellezza di vivere, ancora, ancora, ancora: battito dopo battito, passo dopo passo.
Sì, così: “…adesso e nell’ora della nostra morte”.
“Amen”: così sia, così voglio.

Massimo Recalcati
Recensione di Sonia Remoli
