
In copertina: Arnoldo Anibaldi, Nudo +++, sanguigna su carta
Quella di Nanda Anibaldi è una poesia nuda, malinconicamente impudica, che sa scrivere con gli occhi di incendi.
Una poesia pervasa da tonalità di cobalto: pura e determinata, capace di evocare una misteriosa ed opulenta nostalgia romantica. Sincera, riservata, elegante, l’Anibaldi – come il cobalto nella scala cromatica dei blu – non sgomita per avere attenzione. Le piacciono le cose “a modo suo”: persistenti e nostalgiche. Quotidianamente immense.

Nanda Anibaldi
E’, la sua, una poesia immacolata e cruda, che maledice la cautela: che ha il sapore di quella meraviglia capace di “cambiarti la faccia”.
Nanda Anibaldi – poetessa nata e residente a Monte Urano, amabile cittadina dall’anima medioevale distesa sulle verdi colline marchigiane – è un’artista che può contare sulla solerte complicità creativa di un gineceo familiare. Un crogiolo di femminilità che attraversa trasversalmente le diverse età della vita.

Mavi Viola Massai Anibaldi e suo nonno Arnoldo Anibaldi
La sua pronipote Mavi Viola Massai Anibaldi e’ infatti co-autrice – assieme al nonno Arnoldo Anibaldi noto sculture e pittore – delle illustrazioni che impreziosiscono il volume, dando vita all’incanto del potere cromatico delle parole. La supervisione della raccolta è il risultato, invece, dell’acuto sguardo della nipote Barbara, mentre il lavoro di raccolta è frutto del certosino indagare della cognata Lidia.

La pronipote Viola, Nanda Anibaldi, la cognata Lidia
Questo flusso di poesie scaturisce da un fermento sotterraneo che poi riemerge come un “nostos”, nel quale l’Anibaldi continua a cercare e a cercarsi. Per essere ri-letta, ri-nominata, ri-trovata.
La spinta che anima la corrente di questo flusso é racchiusa nella poesia-proemio intitolata “Troni di gemme” che allude, quale pietra filosofale, alla consapevolezza di come le gemme sulle quali è costruito il nostro trono (il nostro stare al mondo) siano silenziosi “minuti addizionati uno più uno più …”. Perché “è il minuto che fa il giorno/così diverso l’uno dall’altro e così uguale” (pag. 148) .

Nanda Anibaldi
Ma soprattutto è vita “poter vivere sulla bocca di chi pronuncerà il tuo nome”: è vita se qualcuno ti riconoscerà, cioè, per il segno creato e lasciato dalla tua impronta vitale. “Foss’anche di sera”: foss’anche tardi. Ma “senza” non vale: senza, si è poveri: derubati del sorriso. “Voglio esserci anche quando non ci sarò” – desidera l’Anibaldi, consapevole che – “ci sarò anche quel giorno che pare estate e sarà dicembre” (pag. 21).
Da qui, l’urgenza di raccogliere queste sue liriche in prima persona, per esporle – stendendole come panni al vento – agli occhi di chi se ne vorrà riempire i sensi e l’animo.
Ora.

Teatro Studio Franco Enriquez di Sirolo, ” La poesia del teatro il teatro della poesia”, 21 Agosto 2024
Elisa Ravanesi, Paolo Larici, Nanda Anibaldi
Ad amplificare la valenza semantico-estetica delle 150 poesie raccolte dall’Annibaldi, si associa la scelta plastica di formattarne alcune in sculture metafisiche, che ne visualizzino le intime tensioni. Ed è di sorprendente bellezza scoprire quali parole sono state scelte dalla poetessa per dinamizzare le diverse energie che animano le sue sculture poetiche. Ne sono splendidi esempi alcune liriche: Troni di gemme, L’ape, Fiore di cactus, Se – per citarne alcune.

Ma la poesia dell’Anibaldi sa anche librarsi in effluvi aromatici dalla punteggiatura olfattiva, che odorano della persistenza del ricordo emanato dal rosmarino; della freschezza dalle noti piccanti dello zenzero; del sacro potere protettivo della salvia; dell’eros che si sprigiona dal mirto.
Perché l’amore é quel qualcosa che non si puó dire, che é ambiguo anche quando sembra ovvio; che va assaporato e rintracciato mentre si dicono altre parole. Oppure va dedotto dal gioco della prossemica: “… ma quanto amore c’era/in quelle mie parole/anche quando prendevo la distanza/per esserti vicina…”

Nanda Anibaldi
E poi c’é l’amore per il padre: “So di essere tua figlia/quando accetto le sfide/e se pago il mio debito/con la tua logica di ogni giorno…Tu stai nella casa del muro che resiste” (pag.22). Lui, colui che sceglieva per lei adolescente le riviste sulla rivoluzione russa “un trasferimento azzeccato peró/se ancora oggi mi commuovo/nel sentire alla riscossa” (pag.82). E l’amore per la madre: lei, quella a cui si racconta “Con l’alfabeto greco arrivavi fino a delta/ma eri lì a proteggere il mio futuro./Io ti raccontavo/ti raccontavo (pag.35).

Nanda Anibaldi al Cesma, Centro Studi Marche di Roma, ha presentato la sua opera al Pio Sodalizio dei Piceni della capitale, alla presenza del senatore Francesco Verducci e della direttrice Pina Gentili. Insieme a lei due lettori d’eccezione, l’attrice Elisa Ravanesi e il doppiatore Paolo Ripani.
Un ventaglio di emozioni che sanno ondeggiare – quelle raccontate dalla Anibaldi – “come i nasturzi insieme alla forsizia” (pag.44) in “una collana di giorni e di notti/d’imbrunire e di sere” (pag.47) densa della consapevolezza che “a guardarsi vale mille anni di vita” (pag.60). Anche quando “esistere” significa arrivare alla consapevolezza di dire “Sono quando m’ignori/e dove ogni volta vuoi collocarmi” (p.62) … “insieme/da soli” (pag.27).

Nanda Anibaldi
Nanda Anibaldi é una splendida donna elegantemente estrosa, raffinatissima e con un innegabile quid ieratico. Dopo la laurea in Lettere Moderne alla Sapienza di Roma, frequentando le lezioni di Natalino Sapegno e di Giuseppe Ungaretti, e la laurea in Filosofia a 67 anni, pensa oggi – entrata nella sua 87esima primavera – al desiderio di sempre: laurearsi in Medicina. Sará che l’Anibaldi é una donna inguaribilmente affamata di vita, di curiositá, d’eternitá.
Sará che l’Anibaldi é una donna di ricerca e alla ricerca. Fin da sempre. Per sempre.

Nanda Anibaldi
VOGLIO
Voglio portare con me quelle colline
fianchi di donna che s’avvia a essere madre
e le case che s’adattano ai declivi
Voglio portare con me i rovi intrecciati
e gli scheletri degli alberi che si spogliano
per non offrirsi agli insulti della tramontana.
Voglio portare con me la tavola dei logaritmi
forse riuscirò a capire a cosa servono
e una penna se mi capitasse di doverti scrivere
certamente non dovrei dimenticarmi di un foglio bianco
che sarebbe meglio rimanesse tale.
Con gli occhi ti ho scritto molte volte
ma le risposte non sono state soddisfacenti
e gli appelli inascoltati.
Voglio portarmi un cappello
chissà se ci sarà il sole
se scotterà
se potrò guardare la luna chiara
quando s’innamora.
Vorrei portare con me ancora l’ingenuità dei miei anni
e non caricarli di scaltrezze per ingannarti.
Voglio portare con me l’aria di prima mattina
per rendere più leggero il mio respiro.
Il fiume lasciatelo invece correre il suo percorso
per salutare chi é seduto sulle sue sponde.
(pag. 96)

La cognata Lidia e Nanda Anibaldi nella Casa-Museo Arnoldo Anibaldi di Monte Urano (FM)
La poetessa Anibaldi ha scritto anche di prosa e di teatro (monologhi) e – oltre ad essere stata insegnante di Lettere per quarant’anni – é Direttrice del Piccolo Museo della Poesia, oltre che presidente della Casa-Museo Arnoldo Anibaldi di Monte Urano, in provincia di Fermo.

“…non sentirti mai solo
tu scorri nel mio sangue
quando prende fuoco o raggela
e nell’ infinitesimo secondo
anche quando guardo il pavimento
e mi accorgo che é ora di pulirlo”.
(pag. 188)

Nanda Anibaldi
Recensione di Sonia Remoli
