7 Sogni

TEATRO PORTA PORTESE, 15 e 16 Aprile 2023 –

Quella che la preziosa sensibilità di Alessandro Fea ieri sera ha mandato in scena, con la complicità di quattro talentuosi attori (Matteo Baldassarri, Silvia Nardelli, Giancarlo Testa e Monica Viale) è una “Lettera dall’Inferno”: una di quelle in cui si cerca aiuto ma non lo si trova né in un Dio “che non si libera dagli impegni per liberarci dal male” (come canta Emis Killa), né nelle Istituzioni. È la condizione dell’attendere godottiano che qualcosa arrivi. Qui, però, la solidarietà umana vince comunque su tutto.

Alessandro Fea, autore, musicista e regista dello spettacolo “7 sogni” al Teatro Porta Portese di Roma

Siamo in un quartiere di periferia, o meglio nella periferia di ogni periferia, dove quattro persone, già in condizioni di precarietà fisica o psichica, rischiano lo sfratto esecutivo. La loro fragile esistenza è appesa ad un filo, come quello dei panni stesi ad asciugare che campeggia sulla scena.

Una scena dello spettacolo “7 Sogni” di Alessandro Fea al Teatro Porta Portese di Roma

Un destino da “esiliati”, il loro, perché i poveri oggi sono, per dirla con Beppe Sebaste, “extra-comunitari ontologici”. Uno stare al mondo, il loro, carico di impotenza e di rabbia, che gira intorno ad una panchina: unico luogo dove ci si può sedere gratis. A sognare. E forse non è un caso che le panchine stiano silenziosamente scomparendo: per scongiurare “gli indesiderabili”, i poveri. Il nuovo posto delle panchine, non a caso, è nei centri commerciali. 

Ma è “quello che non c’è”, in fondo, a rendere “speciale” questo “bordo di periferia”: perché è proprio intorno a queste assenze che si staglia la splendida umanità di quattro disperati. Umili sì, ma dall’umiltà nasce, non solo etimologicamente, l’humus, cioè la fertilità. Quella del prendersi cura dell’altro, del farlo sentire osservato e quindi desiderato dal nostro desiderio. I loro occhi “si sbracciano” nella muta richiesta di un “Mi vuoi bene?” . E così, trovato in un dettaglio la conferma, possono affrontare la nuova odissea quotidiana. Occupandosi degli altri, del branco, anche in previsione di quando loro non ci saranno più. 

Una scena dello spettacolo “7 Sogni” di Alessandro Fea al Teatro Porta Portese di Roma

Sanno sognare: si nutrono di sogni; si curano con i sogni. Per loro è un gioco: serio, fondato su delle regole. Sono ammessi sogni belli e sogni brutti: entrambi utili a sopravvivere. Perché, poi, si condividono: sulla panchina. Una zona franca: un teatro nel teatro. 

Alessandro Fea, autore, musicista e regista dello spettacolo “7 sogni” al Teatro Porta Portese di Roma

La bellezza di questo spettacolo è impreziosita da interessanti brani musicali dal denso sentore urbano, composti e riarrangiati da Alessandro Fea, poliedrico autore, regista e musicista. 

La Compagnia Teatrale “Sofis”: Giancarlo Testa, Monica Viale, Silvia Nardelli e Matteo Baldassarri

I suoi attori della Compagnia Teatrale “Sofis” brillano nel loro essere “persone” prima ancora che “personaggi”. Perché il Teatro è un po’ come stare su una panchina: ha uno scopo in sé. È un atto di civile anarchia. 


Qui, la mia intervista ad Alessandro Fea


7 Sogni – Intervista al regista e autore Alessandro Fea

TEATRO PORTA PORTESE, Sabato 15 e Domenica 16 Aprile 2023

A pochi giorni dal debutto del nuovo spettacolo di Alessandro Fea, “ 7 Sogni ” – in scena al Teatro Porta Portese il 15 e il 16 Aprile – ho avuto il piacere di intervistare il poliedrico musicista, autore e regista, per scoprire qualche preziosa anticipazione sull’evento.

Alessandro Fea

“ 7 Sogni “ è uno spettacolo ricco di suggestioni, di significati e di significanti. Molte, quindi, le domande che desidererei sottoporgli. Inizio dal titolo:

Perché, Alessandro, è  importante parlare di ‘sogni”  in questo momento? E perché proprio 7 ?

La scelta del numero 7 e’ legata a un gioco che coinvolge i protagonisti in scena. Non voglio andare oltre per ora: gli spettatori si appassioneranno a scoprirlo nel corso dello spettacolo.

Il “sogno” è il potere che si trova a gestire ciascun personaggio: il loro diverso modo di stare al mondo fa sì che ciascuno ne immagini uno proprio.

La capacità di sognare è, per me, centrale nella vita di noi esseri umani. È uno straordinario potere di cui disponiamo, capace di innescare in noi un meccanismo di reazione-azione ontologicamente terapeutico.

Per dimostrarlo ho scelto personaggi “ai margini”, allo stremo, messi all’angolo dalla cosiddetta società “civile”. Persi sì ma solo apparentemente perdenti o impossibilitati a qualunque reazione. Sarà invece proprio la loro capacità di “sognare una svolta”, di investire in una “presuntuosa” sfida, a regalare loro la più audace voglia di vivere e di reagire.

Mi è sembrato utile ricordare a noi tutti, soprattutto nel momento storico che stiamo vivendo, dov’è che va cercato il fulcro delle nostre esistenze. Da dove si originano le nostre migliori energie.


Trovo molto bella, Alessandro, la scelta di rendere protagonisti degli “esiliati”. Come nasce questa tua esigenza?

Dalla ricerca di una verità di vita. Perché per esperienza personale, e poi lavorativa, mi sono trovato spesso in contesti lontani dalle mie origini, io che sono nato in una Roma borghese. E lì, proprio in quei contesti così “diversi”, ho capito e imparato quanto la vita a volte non offra possibilità di scelta ad alcune persone.

Mi riferisco a situazioni sociali di povertà, di disabilità, di prostituzione. Ma nascere in certi contesti piuttosto che in altri, ti “investe” anche di un imprinting speciale. Paradossalmente, dove c’è “meno” ho sempre trovato “il più“: una umanità “talentuosamente” portata a valorizzare le piccole cose e la preziosa unicità delle relazioni umane. Lungi dall’essere un giudizio, trovo che questa sia la pura realtà.

E dare voce a chi non riesce ad averla, credo sia un dovere per chi come me scrive e sente l’esigenza di dare un volto alla sofferenza. Sono consapevole che risulta “scomodo” parlare di certi argomenti e focalizzare l’attenzione su certe situazioni sociali “al limite”. Preferibile, per i più, ghettizzarle in luoghi lontani dagli occhi.

Ma se penso a figure come Lou Reed che per una vita hanno scritto di periferie, di droga, di emarginati, sapendo trovare il modo di farne “poesia”, allora perché non prendere esempio promuovendo questo impegno sociale a voler dare voce a chi non ha la possibilità di urlare ?



Che cosa rappresenta oggi la periferia, Alessandro ?

La periferia di oggi è diversa da quella descritta da tanti autori anni fa. Oggi, almeno a mio avviso, le città sono sempre più “costruite a blocchi” talmente isolati ed autonomi da divenire “micro città” nelle città stesse.

Al degrado urbano e sociale sempre più marcato dovrebbe rispondere una forte esigenza a far convivere culture diverse. C’è invece una grande difficoltà giovanile a trovare lavoro. C’è una crisi di valori sociali e morali altissima: complice anche la devastante presenza di Internet nelle nostre vite, che tende ad annullare il distacco tra realtà e finzione.

Colori sonori

Che tipo di musica hai composto per accompagnare queste storie? 

Un po’ sulla scia dello spettacolo “Anna e altre Storie”, come cornice sonora sono andato su suoni “attuali”. Mi sono ispirato a brani recenti, ai suoni industriali, alle voci italiane dell’ultima generazione che gridano dolore esprimendo con insofferenza le problematiche da cui sono afflitte.

Non parlo di Trap (che non amo affatto) ma di giovani autori che si esprimono in maniera decisamente interessante in quanto appassionati verso nuove ricerche sonore e testuali. Mi è piaciuto relazionarmi con loro attraverso il mio stile. Trovo che si sia creato così un fertile flusso tra me e loro. Uno stimolante scambio generazionale tra un musicista boomers e nuove leve.

Il “suono” del dramma, della sofferenza, l’urlo che ne viene fuori, ha una base forte. Suoni diretti, duri, quando questo è il messaggio da veicolare. Morbidi, romantici quando serve altro. Come sempre accade nei miei spettacoli, la musica è quel “personaggio” in più che parla con gli attori.

E ora parliamo della tua compagnia “Sofis”: cosa racchiude questo nome? Qual è lo spirito che la guida ? Cosa vi unisce ?

Il nome è nato come omaggio a mia figlia Sofia nata ormai 20 anni fa. Lo spirito che ho sempre cercato di avere è quello di scrivere storie urbane, vere. Ho sempre sperato che potessimo diventare un piccolo punto di riferimento nell’immenso mondo teatrale, con il nostro stile, il nostro linguaggio.

Considero il lavoro per la compagnia un vero e proprio “viaggio”. Un viaggio bellissimo in cui ogni singolo elemento che va, che viene, che entra, che esce, si possa trovare a suo agio e possa dare così il proprio contributo con tutto l’entusiasmo che cerchiamo sempre di mettere in tutto quello che facciamo.

La prima regola per me è sempre quella di creare un clima dove non ci siano “prime donne” ma tutti al servizio di tutti, me compreso. Un lavoro collettivo, di continuo scambio, di crescita continua, fatta di preziose osservazioni critiche, indispensabili per correggere il tiro.

E questa filosofia negli anni ha pagato: lavorare in un clima siffatto evidenzia infatti l’ unicità dei singoli attori. E li aiuta a crescere, non solo sul palco. Vengono valorizzate a 360 gradi le caratteristiche migliori di ciascuno, perché è la forza del gruppo a renderlo possibile. Esattamente come in questo spettacolo.

Mi piacciono molto i concetti di “solidarietà da branco” , di “istinto ferale” e quello di “fare cerchio”. Parliamone.

Come detto sopra, è la forza del gruppo la vera leva. Un gruppo che può anche litigare, avere crisi di qualsiasi tipo ma alla fine trova sempre il modo di compattarsi. E che quando si verifica “un attacco esterno” riesce sempre a trovare energie, quasi inimmaginabili, per combatterlo.

Esplicando un vero e proprio spirito di sopravvivenza ancestrale, dove l’umanità, il vero senso di umanità, vince, vive. Esiste. Valore esistenziale che non sempre nella società di oggi riesce a trovare espressione, soprattutto quando invece invita a chiudersi nel proprio singolo egoismo.

In un orizzonte che accecato dall’egocentrismo dà vita a “isole” umane più che a “reti” relazionali. Mentre invece è proprio nell’aiuto che solo il “branco” può offrire, che ci si ritrova davvero. Nella propria essenza. E si cresce. Ci si evolve. Nel confronto, nello scontro, nel dialogo.

Ti ringrazio Alessandro. Ora non resta che venire a vedere il tuo spettacolo !

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Teatro Porta Portese

7 SOGNI

Sabato 15 e Domenica 16 Aprile

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