CENTRO CULTURALE CAPPELLA ORSINI, 29 Maggio 2024
– Rassegna teatrale inserita all’interno del “Festival De Rebus Amoris” –

Quella di essere figli è una condizione esistenziale che ci unisce tutti.
Nessuno di noi sceglie di venire al mondo, quali saranno i propri genitori e neppure i progetti con i quali loro scelgono di darci una forma, già prima della nostra nascita.
Veniamo al mondo “raccontati e scritti” da altri e interpretiamo le loro richieste per molti anni della nostra esistenza. E non sempre riusciamo, più avanti negli anni, a fare qualcosa di nostro di quello che gli altri hanno precedentemente fatto di noi.
E’ il caso delle protagoniste di questi due spettacoli: la Madre-perla (anche lei figlia, prima di essere madre) del racconto di inquietante bellezza di Antonio Mocciola e la protagonista di Performing 4:48 di Sara Kane.
Storie di figlie che ancora rincorrono quelle attenzioni mai ricevute, quel riconoscimento emotivo mai arrivato. Perché l’identità e l’autostima sono doni sociali: si ricevono.
Loro invece crescono come figlie non guardate, non ascoltate, non difese, non amate. E crescendo, a loro volta – come per effetto di un perverso imprinting – replicano queste mancanze sugli altri, che siano figli o amanti. Perché quello che non si è ricevuto, quello che non si è conosciuto, non si può offrire agli altri.
Entrambi gli spettacoli – curati dall’appassionato sguardo registico di Giorgia Filanti – sono dei flussi di coscienza di sacra bellezza, scolpiti da quelle ripetizioni ossessive che li rendono veri e propri rituali.
Madre-perla (un’intensamente enigmatica Teresa Ruggeri) è una Joan Crawford che ha perso il suo potere sugli altri: ha perso, com’è naturale ed inesorabile in ogni ciclo di vita, il meglio della sua giovinezza.
Si sono spenti i riflettori su di lei, essendosi spenti i bagliori iridescenti del suo continuare a farsi “madreperla”. Da poter continuare a far brillare: ma in modo diverso, ora non più giovane.

Teresa Ruggeri
Spenta si è la sua capacità cioè a fare qualcosa di proprio, ovvero a produrre del proprio materiale luminoso intorno all’insinuante invasione di corpi irritanti ed estranei, infiltratisi nella sua vita. Come fanno i molluschi di alcune conchiglie secernendo quel materiale che solidificandosi diventa appunto madreperla. Materiale (di difesa creativa) prezioso per lucentezza ed iridescenza e per la capacità di riflettere la luce in modo unico.
Ma madreperla è un materiale molto delicato e si graffia facilmente. E questo sta succedendo a Joan Crawford che avendo perso la consapevolezza di cosa significhi ora la femminilità, si ostina a continuare a puntare su quel che resta di una femminilità “estetica”, naturalmente in declino.
E quella che l’avvento del cinema ha trasformato in una femme fatale, le fragilità esistenziali rivelano nella sua originaria natura di strega clawnesca, dalla seduttività anche distruttiva.
Distruzione alla quale si consegna anche la protagonista del secondo spettacolo Performing 4:48, che ci si dà attraverso una dionisiaca performance allucinatoria (molto interessante il lavoro sul corpo restituito da Serena Borelli; audio e luci affidati a Diego Pirillo).

Serena Borelli
Notturna e misteriosa, la protagonista – quasi come una falena – si è evoluta dallo status di “farfalla” per riuscire a vivere nella notte dell’esistenza ricevuta in sorte. In questo processo evolutivo punta – per gestire al meglio le minori temperature notturne e quindi proteggere i propri pensieri – su foltissime capigliature. E su abiti (ali) dalla pigmentazione tale, da potersi mimetizzare con l’habitat così carente di calore (amore) e di luce.
Ma la sua capacità di adattamento non riesce a tenere il ritmo del progressivo raffreddamento dell’ambiente (sociale). Risultando troppo visibile (diversa) e quindi vulnerabile. Perché la sua autentica natura, così ricca in curiosità, anela in verità a farsi vedere, per essere riconosciuta e amata. Un desiderio che si rivelerà fatale. E, disorientata dalla freddezza della luce, si brucerà.
Due lavori, questi curati da Giorgia Filanti, seducentemente inquietanti nell’aver sapientemente scelto come portare luce sull’oscurità esistenziale e socio-affettiva in cui siamo immersi.

La sala che ha ospitato gli spettacoli, una delle sale della Cappella Orsini
