Al Teatro Nuovo Ateneo GRAN TEATRO BERNINI – drammaturgia e regia Francesco d’Alfonso

TEATRO NUOVO ATENEO

12 e 13 Giugno 2025

ʺGRAN TEATRO BERNINIʺ

SPETTACOLO DI BENEFICENZA

A SOSTEGNO DELLA “COMUNITÀ SAN FILIPPO NERI – E POI?”

Roma, 12 e 13 giugno 2025, ore 20.30

TEATRO NUOVO ATENEO

(piazzale Aldo Moro, 5)

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L’Associazione “Comunità San Filippo Neri –

E poi?”

in collaborazione con l’Ufficio per l’Università del Vicariato di Roma,

l’Accademia di Belle Arti di Roma, Pensieri Meridiani e Associazione Più Comunicazione,

con il contributo dell’8xMille della Chiesa Cattolica,

è lieta di presentare lo spettacolo

“Gran Teatro Bernini”, scritto e diretto da Francesco d’Alfonso,

dedicato alla poliedrica figura di Gian Lorenzo Bernini,

l’artista che nel Seicento ha cambiato il volto di Roma.

Nel cast gli attori Irene Ciani, Francesco Cotroneo, Domenico Pincerno, il controtenore Enrico Torre, il liutista Lorenzo Sabene.

Il testo, scritto da Francesco d’Alfonso, è strettamente basato sulle fonti dell’epoca,

vagliate accuratamente con la consulenza scientifica dello storico dell’arte Antonio Soldi, della Sapienza-Università di Roma.

Lo spettacolo si terrà giovedì 12 e venerdì 13 giugno 2025 alle ore 20:30

al Teatro Nuovo Ateneo

(Piazzale Aldo Moro 5, Roma).

L’intero incasso sarà devoluto alle attività della Comunità San Filippo Neri – E poi?,

presieduta da don Gabriele Vecchione, impegnata in progetti di guida e sostegno motivazionale verso i giovani e le loro famiglie.

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GRAN TEATRO BERNINI

drammaturgia e regia Francesco d’Alfonso

con Irene Ciani, Francesco Cotroneo, Federico Gatti, Domenico Pincerno

e con Lorenzo Sabene tiorba, liuto, chitarra barocca e Enrico Torre controtenore

scene e maschere Gaia Caponi, Camilla Martini, Rocco Papia

costumi Elina Maria Vaakanainen

disegno luci Adriano Ferrante

tecnico luci Silvia Emiliani

assistente alla regia Pietro Angelo Tramacere

12/13 giugno ore 20.30 NUOVO TEATRO ATENEO piazzale Aldo Moro 5

info segreteria@comunitaepoi.it biglietti http://www.comunitaepoi.it

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GRAN TEATRO BERNINI

sinossi

Roma, 1647: Gian Lorenzo Bernini, l’artista più celebrato del tempo non solo per le sue opere scultoree e architettoniche, ma anche per il suo teatro – in cui riuscì a congiungere tutte le forme d’arte -, colui che sin da ragazzo stupì il mondo per il suo talento, diventando il protagonista assoluto del barocco, si ritrova senza più committenze papali, solo e malinconico. Il suo orgoglio è stato ferito profondamente, e nemmeno il fedele allievo Giovannino riesce a rasserenare il suo animo cupo. In quel periodo di sconforto e amarezza, in cui anche il suo genio creativo sembra essersi sopito, il potente cardinale Federico Cornaro gli commissiona la sua cappella funebre in Santa Maria della Vittoria, dedicata a Santa Teresa d’Avila, la mistica spagnola morta e canonizzata non molti anni prima. L’incontro con una misteriosa donna e un intenso percorso interiore lo porteranno a ritrovare se stesso e la sua arte, a realizzare il gruppo scultoreo “l’Estasi di Santa Teresa” e a cambiare per sempre il volto di Roma, che, grazie a lui, sarà chiamata il “gran teatro del mondo”.

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GRAN TEATRO BERNINI – note di regia di Francesco d’Alfonso©

Gian Lorenzo Bernini è un artista che ha vissuto un tempo straordinariamente lungo per la sua epoca, la maggior parte del quale passato a Roma. La sua vicenda umana e artistica è intimamente legata all’Urbe, tanto che le sue opere ne hanno cambiato il volto, contribuendo a renderla la città spettacolare che oggi vediamo: Roma porta inequivocabilmente la firma di Bernini. Con lui nasce un’arte scenografica, talmente coinvolgente da diventare teatrale. In effetti proprio il teatro accompagnò Bernini in tutta la sua lunga vita – fu scenografo, scenotecnico, attore, autore, corago di opere in musica – dandogli la possibilità di espandere all’infinito la sua idea di bellezza, che la scultura, l’architettura e la pittura racchiudevano in opere “finite”: perché la bellezza è connessa all’anelito di infinito custodito in ogni uomo. Bernini è un artista di successo, celebrato e richiesto: ma un incidente di percorso, accaduto nel momento di massima gloria, è per lui psicologicamente devastante. Egli vive la frustrazione emotiva di non essere più il protagonista assoluto della scena di Roma e del mondo, di non essere più sulla ribalta a raccogliere applausi, di sperimentare la prova più drammatica per ogni artista: il blocco creativo. L’inaspettato finale tragico di una drammaturgia brillante: l’artista che non riesce più a produrre arte. Il suo mondo dorato diventa nero. Nello squallore di un cantiere dove nulla è compiuto, gli fanno compagnia un musico, un cantante, un baule che, come una scatola magica, sprigiona le luci del palcoscenico, ma soprattutto il suo fedele allievo Giovannino, un ragazzo straripante di passione e amore per il teatro, misti all’ammirazione e all’affetto filiale per il maestro. Ma tutto questo non basta. Una ferita non passa dimenticando di averla. Una ferita ha bisogno di cura. È il cardinale Federico Cornaro a fare l’anamnesi e la diagnosi del suo problema; lo fa con la diplomazia dell’uomo di chiesa abituato a barcamenarsi tra i gangli del potere, con l’ostinazione di chi sa come raggiungere il proprio obiettivo e di chi porta il fardello della mediazione tra la terra e il cielo. Non è un caso che tutta la vicenda si svolga – dal tramonto all’alba – nel cantiere di quella che sarà sua la cappella funebre in Santa Maria della Vittoria: il luogo in cui il suo corpo mortale sarà sepolto, il luogo che sarà reso immortale dal genio di Gian Lorenzo Bernini. È sempre il cardinale, che gli aveva commissionato una statua di Santa Teresa d’Avila, che gli parla del misticismo teresiano, e che lo metterà sulla giusta strada per trovare se stesso e ritrovare il suo genio. Eppure nemmeno questo basta. L’incontro con gli scritti di Teresa, con quel “Nada te turbe” che arriva al suo orecchio come un canto angelico carico di sensualità, attraversa i recessi più nascosti della sua anima. E una donna, entrata in questo atto della sua vita con la delicatezza di un sogno, con l’impalpabilità della luce lunare, gli mostra il significato vero della bellezza, e gli insegna – con parole che hanno il seducente profumo della poesia – che l’umiltà dà senso alla vita, che ogni dolore ha un significato, che proprio da una ferita nasce la vera arte, quella in cui si scorgono i semi dell’infinito, quella in cui si trovano piccoli frammenti del Tutto. Solo di quell’arte resterà memoria. Dal nero dell’oscurità all’oro della luce: suggestioni barocche di una storia che attraversa la storia, personaggi realmente vissuti che superano il tempo, travalicandolo con leggerezza, attraversando la materialità di luoghi e immagini reali e l’incorporeità onirica della visione. Una metafisica di parole, di gesti e suoni che legano con un filo sottilissimo il passato e il presente, la narrazione storica con l’azione metateatrale.