Colloquio notturno con un uomo disprezzato

TEATRO COMETA OFF, dal 16 al 21 Maggio 2023 –

In un teatro per sole voci qual è il radiodramma, così ricco in personalità e in disinvoltura, si inserisce la scelta del regista Alessio Pinto di anteporre, a mo’ di prologo al testo originale, una prosa satirica incentrata sull’inclinazione, tutta umana, di rinunciare al diritto di difendere il proprio “gusto”: la più personale delle opinioni.

Il regista Alessio Pinto

Ma abbiamo ancora nerbo per sostenere la responsabilità di pensarla diversamente dai più?

Cosa si rischia ad avere delle proprie opinioni?

La risposta arriva dalle successive notizie di cronaca trasmesse alla radio, la stessa dalla quale prima era stato “proclamato” il pezzo di satira: tutte relative a morti o ad arresti di persone che hanno avuto il coraggio di non rinunciare al diritto di esprimere il proprio gusto. Le proprie scelte. 

Friedrich Dürrenmatt, autore del radiodramma “Colloquio notturno con un uomo disprezzato”

Con questa chiave interpretativa, cifra stilistica di Dürrenmatt per smascherare le meschinità nascoste dalla facciata perbenista della società, Alessio Pinto conduce lo spettatore in uno spazio elegantemente disordinato, abitato da una luce d’indeterminata attesa nella quale, con il favore delle tenebre, è immerso un uomo.

Un leggero refolo di vento annuncia l’insospettatamente goffo entrare in scena di colui che l’uomo stava aspettando. Il timore lascia il posto alla delusione: qualcosa va in frantumi.

Chissà perché il nostro nemico lo immaginiamo sempre nel massimo della prestanza. Ma poi sarà davvero un nemico? Di chi, abbiamo davvero timore? Che uso facciamo del prezioso indizio a fare attenzione (mica a lasciar perdere) offertoci dalla paura?

F. Dürrenmatt, « L’Ultime assemblée générale de l’établissement bancaire fédéral », 1966, huile sur toile, 72 x 60 cm, collection Centre Dürrenmatt Neuchâtel

Perché non leggiamo? Perché i libri sono letti laddove sono proibiti? Perché la cultura è pericolosa? A cosa siamo disposti a dare un prezzo, un valore ? E le cose, sono davvero come sembrano?

F. Dürrenmatt, Prometeo forma gli uomini, 1988, gouache, cm 99×70 
© Centre Dürrenmatt Neuchâtel/Confederazione Svizzera

Con la forza dissacratoria di questi fertili dubbi è intessuta la narrazione di Dürrenmatt che Alessio Pinto ha saputo rendere eloquente, integrandola anche con riferimenti extra-testuali, quali (per citarne solo uno) il Bergman de “Il settimo sigillo“. 

Una scena da “Il settimo sigillo” di Igmar Bergman (1957)

Un attento accordo tra spazio, luce e prossemica “disegna” l’importanza dialettica di due punti di vista, sottolineandone i confini ma rivelandone anche l’incontro. 

Una scena dello spettacolo “Colloquio notturno con un uomo disprezzato” di Alessio Pinto

I due attori in scena riescono con efficacia a “visualizzare” l’inconsistenza di certi “luoghi comuni”, di certi “ruoli” pre-confezionati.

Alessandro Giova (lo scrittore) emoziona nel rendere tutta la parabola psicologica del suo personaggio. Nel lasciarsi cioè trascinare dai continui “colpi di scena” a cui viene sottoposta quella che dovrebbe essere (ma non è) la sua “aperta” immaginazione di scrittore. 

Alessandro Giova, interprete dello scrittore

Antonio Conte (il “nemico”) ci disarma attraverso continui spiazzamenti: morfologici, etici, filosofici ed esistenziali.

Antonio Conte, il “nemico”

“Veste” una voce angelicamente tormentata che in alcuni momenti ricorda le presenze trascendenti de “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders. Come loro tiene insieme la leggera invisibilità dell’angelo e la necessaria pesantezza dell’uomo.

Antonio Conte e Alessandro Giova in una scena dello spettacolo

Uno spettacolo che capta l’attenzione dello spettatore sottoponendolo a continue montagne russe emotive. 

Un Amleto

TEATRO GOLDEN, dal 14 al 19 Febbraio 2023 –

Le notizie da Elsinore arrivano dalla radio, voce narrante dell’antefatto. Una geniale cronaca giornalistica che fa tornare alla mente “La guerra dei mondi” (1938) di Orson Welles. 


È un adattamento, quello immaginato dalla regista Loredana Scaramella e portato in scena da attori di qualità ed esperienza accanto a un gruppo di giovani interpreti diplomati alla Golden Academy, che trova un interessante equilibrio tra il rispetto verso un’essenziale fedeltà e l’apertura a un legittimo tradimento.

Giacomo Faccini (Amleto ) e Antonio Tintis (Polonio) in una scena dello spettacolo “Un Amleto”

Farne una “cronaca”, cioè l’esposizione di uno dei fatti giornalieri di un Paese (incluso l’intreccio delle voci che corrono) lo rende “carne e sangue” del nostro inconscio collettivo. Perché, come sosteneva Harold Bloom, Shakespeare “inventa la psicanalisi”.

Antonio Frazzoni (Orazio) e Giacomo Faccini (Amleto) in una scena dello spettacolo “Un Amleto”

Efficacissima la scelta di rinunciare alle scene. Unici oggetti: un pianoforte nero a coda (in un angolo) e due sedie “viennesi”. Proiezioni fanno vivere, quando serve, il fondale. Ma tutto il vasto “globo”, prima di dissolversi (alla fine della rappresentazione) è riuscito a “levarsi al fulvido cielo dell’immaginazione”.

Mauro Santopietro (Spettro) e Giacomo Faccini (Amleto) in una scena dello spettacolo “Un Amleto”

Non è stato chiesto invece alla nostra “fantasia di pubblico di vestire di sfarzo” i reali: lo erano già, anche se contemporaneizzati. Deliziose coreografie hanno regalato un’elegante energia giocosa alla “rutilante azione”.

Mauro Santopietro (Claudio/Spettro), Giacomo Faccini (Amleto) e Laura Ruocco (Gertrude)

La sinergia della recitazione densa e profonda dei professionisti commista a quella fresca e talentuosa dei neo diplomati della Gold Accademy riesce a farci immedesimare nelle dinamiche di questa famiglia: archetipo, carne e sangue di ogni famiglia. E quindi dell’intera umanità.

Matteo Milani (Laerte ) e Angelica Pisilli (Ofelia)

Su tutti, alcuni “quadri” restano impressi nel ricordo: in primis quello della morte di Ofelia, destinata a spingersi in cima a un dirupo (umano) per poi cadere e lasciarsi trascinare da un inconsolabile fiume (umano). Ma anche l’insolito e accattivante party per il matrimonio di Gertrude e Claudio; un Polonio quasi divertente nel suo “efficientismo”; il complice rapporto fraterno tra Laerte ed Ofelia… E molto altro ancora.

Giacomo Faccini (Amleto) e Laura Ruocco (Gertrude) in una scena dello spettacolo “Un Amleto”


L’amalgama tra realismo e immaginazione è risultato alchemicamente così efficace, che molti spettatori non si sono accorti della finzione. Come accadde nella trasmissione radiofonica di Orson Welles.

Giacomo Faccini (Amleto) e Angelica Pisilli (Ofelia) in una scena dello spettacolo “Un Amleto”

Gli uccelli

TEATRO INDIA, 3 e 4 Agosto 2022 –

Entrano insieme, attraversando velate nuvole, uniti dal comune intento della narrazione. Sono Uccelli che si appollaiano in diagonale sulla sinistra del palco; Umani che si stanziano nel centro; Suoni che si sintonizzano sulla destra.  

Rievocano “l’inverno del loro scontento”, quando dalla notte del 3 dicembre, tutte le nuvole, sepolte nel petto profondo del mare, iniziarono ad incombere minacciose. Un vento di ghiaccio a salire. Gli intenti a mutare. E gli Uccelli ad essere “sempre più agitati e fruscianti come seta”.

Nell’omonimo racconto di Daphne Du Maurier, a cui lo spettacolo si ispira, non sono stati gli Uomini ad andare a chiedere agli Uccelli di prendere il governo delle loro città, come nella celebre commedia di Aristofane. No. Qui gli Uccelli, animati da una fame senza desiderio, sembrano stregati da un incantesimo. Costretti “con regole assegnate” e “codici di geometrie esistenziali”. Ubriachi di moto: il vento li anima, il vento è il segnale che precede i loro attacchi. Vento che gli interpreti rendono magnificamente nella voce; attraverso un’accurata prossemica ed esteticamente con ventagli neri, di piume.

La scrittrice Daphne Du Maurier

Gli uomini li guardano ma non sanno osservarli: solo Nat Hocken (colui che ripara cancelli e rafforza argini) sa farlo. Solo lui si rende conto che stanno “cambiando le prospettive al mondo”. Ma come Cassandra non viene creduto. Gli Uccelli hanno modo così di invadere le città, come gli Achei di uscire (apparentemente) all’improvviso dal cavallo di Troia.

Li vediamo anche, gli Uccelli: inquietantemente disegnati e proiettati su teli di velatino. Sono bianchi, sono neri, sono piume, sono becchi: “mescolati in strane amicizie, in cerca di una specie di liberazione, mai soddisfatti, mai fermi…come uomini che temendo una morte prematura, per reazione si buttano a capofitto nel lavoro oppure impazziscono”. La strana agitazione degli Uccelli risalta con evidenza anche perché le città sono molto tranquille e apparentemente si sentono ben protette. Appese alla routine quotidiana, alla musica della radio o ai comunicati-oracolo, trasmessi di tanto in tanto. Che questa volta non sono frutto dell’appassionata recitazione di Orson Welles, quando la sera del 30 ottobre del 1938, convinse mezza America che i marziani avevano dichiarato guerra alla Terra, dando vita a “La Guerra dei Mondi” !

Aleggia un’incomprensibilità della natura umana che ricorda “l’immensa complessità e la confusione dell’andare avanti degli uomini” raccontato con disperata malinconia in “Uccellacci e uccellini” da P.P.Pasolini.

Particolarmente accordati gli attori (Lorenzo Frediani, Tania Garribba, Fortunato Leccese, Anna Mallamaci, Stefano Scialanga e Camilla Semino Favro): la voce di ognuno, “corpo” più di un corpo. Sofisticatamente efficaci i costumi dei tre “Uccelli” , riempiti da posture e piccoli scatti assai credibili.

Suggestivo il contributo sonoro di rumori e strida di uccelli (l’elettronica è di Alessandro Ferroni) deformati e ritmati come in una partitura e malinconicamente accompagnati dalla chitarra elettrica di straziante bellezza di Fabio Perciballi.

La regia di Lisa Ferlazzo Natoli e l’adattamento di Roberto Scarpetti hanno saputo restituire efficacemente il clima d’attesa, le atmosfere ossessive e il finale inquietantemente risolto nella minaccia di un’attesa ulteriore. Particolarmente persuasiva, inoltre, l’idea di coniugare metaforicamente la narrazione a tinte gotiche con il clima di rilassatezza, da club degli anni ’40.

La scrittrice Daphne Du Maurier