Marco Rossetti live show

PALAZZO DAMAThe House of Peroni Nastro Azzurro – 17 Maggio 2023

Nello splendido scenario di Palazzo Dama, uno dei palazzi nobiliari più incantevoli di Roma, l’area esterna del “Ristorante Pacifico” ospita  la prima Casa italiana di una delle birre più conosciute al mondo: The House of Peroni Nastro AzzurroUn luogo unico, simbolo dell’ospitalità italiana nel mondo. Molto più di una brand experience proprio perché parte integrante dell’essenza di questo marchio.

E ieri sera,  in perfetto accordo con la filosofia “Vivi ogni momento”, caratteristica dello storico marchio nato nel 1963,  ha avuto luogo la serata d’apertura della stagione maggio-ottobre 2023.  In questi mesi la House of Peroni  sarà attiva sette giorni su sette con un ricco calendario di attività, dall’aperitivo alla notte.

La prima delle Peroni Nastro Azzurro Nights della stagione è stata inaugurata ieri con il live Show di Marco Rossetti e la sua band. A seguire, i dj  resident Muriel Bassi e Raffaella Papa. 

Adorato dal grande pubblico per le sue fulvide e plutonie interpretazioni in film,  serie TV e spettacoli teatrali, Marco Rossetti si sta rivelando un artista a tutto tondo, facendosi riconoscere per il suo stile cool&deep anche come autore e interprete musicale. Uno stile “che esce dal comune”.


È solito dire che le cose migliori gli sono capitate per caso o grazie ad un errore. Si chiama serendipity ed è un tipo particolare di fortuna, che riesce a farsi strada in noi solo se si è disposti a vivere con una grande apertura verso il nuovo. 


Ed proprio di questo “aperto” modo di stare al mondo che canta Marco Rossetti, lui che ama essere “un corteggiatore dell’amore”: quello verso gli altri e quello verso se stesso. I suoi testi parlano infatti della fallibile, e quindi incerta, tensione verso un atto di coraggio: il lasciarsi conquistare e attraversare dall’amore. Perchè per incuriosirsi a conoscere un’altra persona ci vuole coraggio; per non bloccarsi difronte ai giudizi ci vuole coraggio; per conoscere noi stessi ci vuole coraggio. Consapevoli però che ciò che ci unisce tutti è, prima di ogni altra cosa, la capacità di sbagliare, allora per “non avere paura della vita” basta accettare questa nostra comune inclinazione all’errore e osare “aprirsi” al nuovo, che si presenta ogni giorno. Ci sarà magari una “guerra di nervi” ad attenderci dietro l’angolo. Ma ci sta: per poter”trascendere” e per “vivere un incantevole incanto”. 

Ieri sera, il giardino bordo piscina dello spazio esterno del “Ristorante Pacifico” è stato abitato da una crescente e frizzante energia: quella che caratterizza certe attese. Quelle belle. Come un perfetto “padrone di casa”, Marco Rossetti ha avuto cura di accogliere e salutare i suoi ospiti. Complice, una timida pioggerellina che ha attirato l’attenzione, senza però alterare la tensione per l’inizio del live show.

Prologo al vero inizio, una breve narrazione alla quale Marco Rossetti ha affidato le sue confidenze in merito alla nascita di due delle sue grandi passioni: la scrittura e il teatro. E poi, voilà: il brano d’apertura del live show è stato “Tra i rami (di Roma)” , la storia di un barone rampante al contrario. Lei ama nascondersi tra i rami degli alberi di Roma e lui che invece cerca di escogitare il modo per farla scendere giù. E non solo.

Poi è stata la volta di “Bicicletta” il brano ambientato ai tempi della quarantena anti Covid 19. Quando le distanze si potevano colmare solo pedalando. A seguire, il brano sull’attesa dei diciotto anni “La guerra di nervi” chiude la terna dei singoli usciti un po’ ovunque in rete. E poi ancora nuove proposte, brani della tradizione romana e inediti, in un crescendo “tremante e ossessivo”. 


Una splendida serata in un luogo di meravigliosa bellezza e cortesia.

Ed è solo la prima delle Peroni Nastro Azzurro Nights della stagione. 

Una pura formalità

TEATRO MARCONI, dal 23 al 26 Febbraio 2023 –

È un punto di fuga decentrato la vita, per noi che ci ostiniamo a passare gli anni che ci vengono concessi in sorte a “ricordare ciò che c’è da cancellare“. Con queste parole Giuseppe Tornatore sceglie di suggellare la chiusura dell’omonimo film al quale questa riduzione teatrale, diretta dal regista Roberto Belli, si ispira.

Scena finale del film “Una pura formalità” di Giuseppe Tornatore

E affida “la rivelazione” contenuta in esse al modulare “decentrato” del canto di Gerard Depardieu:

Ricordare,

ricordare è come un po’ morire

tu adesso lo sai perché tutto ritorna, anche se non vuoi

E scordare,

e scordare è più difficile

ora sai che è più difficile, se vuoi ricominciare…

(“Ricordare”, testo di Giuseppe Tornatore, musica di Ennio Morricone)

Intenzione del titolo, infatti, è quella di indurci, provocatoriamente, a pensare che la morte (così come la vita) non sia altro che una pura formalità agevolmente espletabile. Qualcosa di noioso magari, ma estremamente pulito, lineare. Così semplice e innocuo da divenire quasi inconsistente.

Roman Polanski e Gerard Depardieu in una scena del film “Una pura formalità” di Giuseppe Tornatore

Ma è davvero così ? E se invece fosse qualcosa di vischiosamente fangoso e pesantemente rammollito da una pioggia insinuante, ossessiva e disorientante ? Un diluvio che col tempo si modula in una sorta di stillicidio ? Stillicidio che, non a caso, abita davvero la scena (curata da Eleonora Scarponi): reali perdite d’acqua, infatti, s’insinuano dall’alto e, provvisoriamente convogliate in secchi, regalano al clima drammaturgico una sinistra e suadente musicalità dalla scomposta grazia.

Una delle scene iniziali del film “Una pura formalità” di Giuseppe Tornatore

Claudio Boccaccini, che siamo soliti conoscere e riconoscere dalle “regie di luce” che caratterizzano i suoi spettacoli, qui è anche l’interprete di Onoff, uno scrittore profondamente in crisi che una notte si ritrova a correre, vagando disorientato, sotto un diluvio di pioggia. Da qui prende avvio lo spettacolo. E desta grande stupore, una meraviglia che ammutolisce, l’intima adesione che Boccaccini riesce a trovare per “farsi personaggio”,  restituendoci tutta la grandezza epica di “un mito” in decadenza capace ancora, tuttavia, d’illuminarsi di una metafisica aura ieratica. E ci commuove. Profondamente. E proprio nel momento in cui riesce a farci mollare ogni resistenza, ci identifichiamo in lui. Nel suo destino, che è anche il nostro. Ed è catarsi.

Claudio Boccaccini è Onoff

Complice di tale incantesimo è anche quell’intesa profonda che riesce ad instaurare con un Commissario qual è quello interpretato da un elegante e calibrato Paolo Perinelli, dalla capacità maieuticamente socratica di “tarare” ciò che non serve. Sarà infatti attraverso l’arte di fare domande (solo apparentemente da Commissario di polizia) che permetterà il parto narrativo ed esistenziale di Onoff, costringendolo a riflettere sulla portata di quei concetti dati erroneamente per scontati e sulle contraddizioni in essi serbate.  Perché solo eliminando il troppo e il vano da ciò che Onoff pensa (e che ha deciso di ricordare), potrà aiutarlo nel conquistare una nuova, autentica e “centrata” consapevolezza di sé. 

Paolo Perinelli (il Commissario)

E da spettatori ci si ritrova ad immaginare che forse sarà su questo che, dopo la nostra morte, una volta condotti in una Stazione di Polizia-Purgatorio, qualcuno ci farà riflettere: su come va cercata la nostra autentica verità. 

Andrea Meloni (Andrè)

Il “quadro” registico “dipinto” dal regista Belli trova compiutezza anche attraverso i contributi interpretativi dei tre collaboratori del Commissario. Andrea Meloni sa regalare ai panni di André il dattilografo una poeticità capace di illuminare la subordinazione verso il Commissario di un intimo e quasi incontenibile trasporto ad accogliere il “fango umano” di Onoff.  Paolo Matteucci (il Capitano) e Riccardo Frezza (la Guardia) riescono a tratteggiare, con un’interessante nota di ambiguo zelo, due insolite figure di angelici aguzzini.

Riccardo Frezza (la Guardia) e Paolo Matteucci (il Capitano)

Il linguaggio delle luci, com’è nella cifra di Claudio Boccaccini, risulta disegnato in modo raffinato e profondo, tecnicamente sobrio ma virtuoso nelle metafore visive. E soprattutto risulta capace di generare toni narrativi estremamente coinvolgenti: tra suspense hitchcockiana e dialogo morale bergmaniano

Claudio Boccaccini

Ne deriva uno spettacolo intimo e insieme aperto al dubbio; generatore di stati d’animo disposti a conversare sui quesiti connaturati alla nostra condizione umana. Un’indagine sulla vita che approda alla scoperta che comprendere è più importante che condannare.

Ed è così che uno spettacolo diventa arte lirica visiva: danza tra musica ed immagini. Riuscendo ad attraversare la pelle dello spettatore per tatuarvisi come ricordo.

Il cast dello spettacolo “Una pura formalità” di Roberto Belli

Spettri

TEATRO QUIRINO, Dal 13 al 18 dicembre 2022 –

Un urlo fa da prologo allo spettacolo: un urlo per una rottura. Una rottura che rivela come un’unità sia composta da una pluralità di parti.

Giancarlo Previati ed Eleonora Panizzo in una scena di “Spettri” di Rimas Tuminas

All’apertura del sipario questo concetto è replicato da un maxi specchio (che fa da fondale) composto da una molteplicità di quadranti, che frantumano l’apparentemente inscalfibile unità di ciascun personaggio. 

Fabio Sartor, Andrea Jonasson e Eleonora Panizzo in una scena di “Spettri” di Rimas Tuminas

Fuori dalla scena un rumoreggiare di tuoni: l’aria si sta caricando di energia che a breve esploderà, traducendo le catene della tensione in pioggia, ovvero in una pluralità di gocce. 

Il regista lituano Rimas Tuminas, direttore del celeberrimo Vakhtangov ( il più grande teatro di Russia) di segnali premonitori ne semina in abbondanza: di lì a breve infatti parteciperemo al frantumarsi di ipocrisie perbenisticamente inossidabili.  

Rimas Tuminas ©VMT archyvas

L’interessante adattamento di Fausto Paravidino, fedele al testo di Ibsen che vuole denunciare un dramma borghese, sceglie di veicolare questo obiettivo mettendo in primo piano il dramma lacerante di una donna: rifiutata dal suo amato (che sceglie di proseguire con ipocrisia la sua missione di Pastore, reso in tutte le sue ambiguità da un efficace Fabio Sartor), tradita dall’uomo che ha sposato (ma del quale si è resa complice di innominabili segreti) e perdutamente innamorata del proprio unico figlio.

Fausto Paravidino – curatore dell’adattamento di “Spettri” di Rimas Tuminas

Una donna così fortemente appesantita dal rispetto del diktat del perbenismo borghese qui trova incarnazione, merito anche della magnifica limpida intensità di Andrea Jonasson, in una Helene “dal piè leggero”, che sembra librarsi dal suolo resistendo alla forza di gravità. La sua voce sa essere soave (e ad incorniciarla come tale contribuisce un uso delle braccia che sa disegnare celesti circonferenze nell’aria) ma meglio ancora conosce i toni più gravi. Segreti. È una donna molto bella, nonostante il verde abito monacale nel quale si nasconde e sul quale grava un orologio (ciondolo di una lunga collana) per misurare quel tempo al quale lei si illude di “dare la carica”.

Il mondo nel quale crede di muoversi è una gabbia dorata: un reticolo di chiare e univoche geometrie, continuamente intorbidite da una subdola nebbia, che gravano orizzontalmente e verticalmente su quella sua “joie de vivre”, prima pretesa e poi ceduta ( le scene sono curate, così come i costumi, da Adomas Jacovskis).

A sfidare le pure geometrie ci sono i pensieri e le azioni: ambigue e contorte. Come la scelta di non assicurare l’orfanotrofio, che si sta andando ad inaugurare, per dimostrare alla gente che non bisogna temere la Provvidenza. Ma c’è Osvald (un densissimo Gianluca Merolli), l’amatissimo figlio di Helene, che nonostante l’ereditato destino di fragilità, ha il coraggio di aprire la porta della gabbia dorata, permettendo l’entrata di aria fresca.

Gianluca Merolli e Andrea Jonasson in una scena di “Spettri” di Rimas Tuminas

Ma purtroppo il suo aver “trovato le parole giuste per mettere in ordine gli eventi” provocherà l’apertura del “vaso di Pandora” che sua mamma fino a quel momento era riuscita ipocritamente a tenere ben serrato. E tutti gli spettri si paleseranno: “ombre di antiche convinzioni sbagliate, che continuano ad agitarsi dentro di noi”. Sarà la fine. O forse un nuovo inizio.

Il sinergico cast di “Spettri” di Rimas Tuminas

Perché solo così una madre, fino ad allora morbosamente legata al figlio, scoprirà il suo autentico ruolo: quello di alimentare il desiderio di vita. Nonostante tutto.

Di commovente bellezza alcune scene: la danza con lo specchio degli spettri e l’inedita “Pietà” di una madre che, nel momento di maggior dolore, accetta si “staccarsi” dal figlio, rinunciando finalmente “a tenerlo in braccio”. Permettendogli così di iniziare a reggersi in piedi. Con i propri piedi.

Applausi profondamente intensi alla prima di “Spettri” di Rimas Tuminas


Leggi l’intervista rilasciata da Andrea Jonasson al “Corriere della sera”