Una pura formalità

TEATRO MARCONI, dal 23 al 26 Febbraio 2023 –

È un punto di fuga decentrato la vita, per noi che ci ostiniamo a passare gli anni che ci vengono concessi in sorte a “ricordare ciò che c’è da cancellare“. Con queste parole Giuseppe Tornatore sceglie di suggellare la chiusura dell’omonimo film al quale questa riduzione teatrale, diretta dal regista Roberto Belli, si ispira.

Scena finale del film “Una pura formalità” di Giuseppe Tornatore

E affida “la rivelazione” contenuta in esse al modulare “decentrato” del canto di Gerard Depardieu:

Ricordare,

ricordare è come un po’ morire

tu adesso lo sai perché tutto ritorna, anche se non vuoi

E scordare,

e scordare è più difficile

ora sai che è più difficile, se vuoi ricominciare…

(“Ricordare”, testo di Giuseppe Tornatore, musica di Ennio Morricone)

Intenzione del titolo, infatti, è quella di indurci, provocatoriamente, a pensare che la morte (così come la vita) non sia altro che una pura formalità agevolmente espletabile. Qualcosa di noioso magari, ma estremamente pulito, lineare. Così semplice e innocuo da divenire quasi inconsistente.

Roman Polanski e Gerard Depardieu in una scena del film “Una pura formalità” di Giuseppe Tornatore

Ma è davvero così ? E se invece fosse qualcosa di vischiosamente fangoso e pesantemente rammollito da una pioggia insinuante, ossessiva e disorientante ? Un diluvio che col tempo si modula in una sorta di stillicidio ? Stillicidio che, non a caso, abita davvero la scena (curata da Eleonora Scarponi): reali perdite d’acqua, infatti, s’insinuano dall’alto e, provvisoriamente convogliate in secchi, regalano al clima drammaturgico una sinistra e suadente musicalità dalla scomposta grazia.

Una delle scene iniziali del film “Una pura formalità” di Giuseppe Tornatore

Claudio Boccaccini, che siamo soliti conoscere e riconoscere dalle “regie di luce” che caratterizzano i suoi spettacoli, qui è anche l’interprete di Onoff, uno scrittore profondamente in crisi che una notte si ritrova a correre, vagando disorientato, sotto un diluvio di pioggia. Da qui prende avvio lo spettacolo. E desta grande stupore, una meraviglia che ammutolisce, l’intima adesione che Boccaccini riesce a trovare per “farsi personaggio”,  restituendoci tutta la grandezza epica di “un mito” in decadenza capace ancora, tuttavia, d’illuminarsi di una metafisica aura ieratica. E ci commuove. Profondamente. E proprio nel momento in cui riesce a farci mollare ogni resistenza, ci identifichiamo in lui. Nel suo destino, che è anche il nostro. Ed è catarsi.

Claudio Boccaccini è Onoff

Complice di tale incantesimo è anche quell’intesa profonda che riesce ad instaurare con un Commissario qual è quello interpretato da un elegante e calibrato Paolo Perinelli, dalla capacità maieuticamente socratica di “tarare” ciò che non serve. Sarà infatti attraverso l’arte di fare domande (solo apparentemente da Commissario di polizia) che permetterà il parto narrativo ed esistenziale di Onoff, costringendolo a riflettere sulla portata di quei concetti dati erroneamente per scontati e sulle contraddizioni in essi serbate.  Perché solo eliminando il troppo e il vano da ciò che Onoff pensa (e che ha deciso di ricordare), potrà aiutarlo nel conquistare una nuova, autentica e “centrata” consapevolezza di sé. 

Paolo Perinelli (il Commissario)

E da spettatori ci si ritrova ad immaginare che forse sarà su questo che, dopo la nostra morte, una volta condotti in una Stazione di Polizia-Purgatorio, qualcuno ci farà riflettere: su come va cercata la nostra autentica verità. 

Andrea Meloni (Andrè)

Il “quadro” registico “dipinto” dal regista Belli trova compiutezza anche attraverso i contributi interpretativi dei tre collaboratori del Commissario. Andrea Meloni sa regalare ai panni di André il dattilografo una poeticità capace di illuminare la subordinazione verso il Commissario di un intimo e quasi incontenibile trasporto ad accogliere il “fango umano” di Onoff.  Paolo Matteucci (il Capitano) e Riccardo Frezza (la Guardia) riescono a tratteggiare, con un’interessante nota di ambiguo zelo, due insolite figure di angelici aguzzini.

Riccardo Frezza (la Guardia) e Paolo Matteucci (il Capitano)

Il linguaggio delle luci, com’è nella cifra di Claudio Boccaccini, risulta disegnato in modo raffinato e profondo, tecnicamente sobrio ma virtuoso nelle metafore visive. E soprattutto risulta capace di generare toni narrativi estremamente coinvolgenti: tra suspense hitchcockiana e dialogo morale bergmaniano

Claudio Boccaccini

Ne deriva uno spettacolo intimo e insieme aperto al dubbio; generatore di stati d’animo disposti a conversare sui quesiti connaturati alla nostra condizione umana. Un’indagine sulla vita che approda alla scoperta che comprendere è più importante che condannare.

Ed è così che uno spettacolo diventa arte lirica visiva: danza tra musica ed immagini. Riuscendo ad attraversare la pelle dello spettatore per tatuarvisi come ricordo.

Il cast dello spettacolo “Una pura formalità” di Roberto Belli

La dolce ala della giovinezza

TEATRO QUIRINO, dal 31 Gennaio al 12 Febbraio 2023 –

Il sipario si apre su una scena piena di vuoti.

Vuoti con i quali il regista, scenografo e costumista Pierluigi Pizzi, figura di intellettuale umanista animato da passioni che ruotano intorno alle arti visive, è stato capace di dipingere il silenzio che domina un adattamento apparentemente pieno di parole.

Pierluigi Pizzi, regista dello spettacolo “La dolce ala della giovinezza”

Come Edward Hopper seppe ritrarre la solitudine della società americana della sua epoca, diventando uno dei maggiori realisti americani del XX secolo, così Pizzi in questo adattamento mette in scena soggetti dallo sguardo così perso da sembrare non interagire tra di loro. Gli ambienti e gli sfondi sono sì luoghi reali presi dalla vita di ogni giorno ma vanno “oltre” la loro forma concreta, trasmettendo un senso di solitudine, di malinconia e d’incomunicabilità.

Elena Sofia Ricci accoglie i fragorosi applausi per la sua interpretazione nello spettacolo “La dolce ala della giovinezza”

Architetture geometrizzanti sono immerse in un sofisticato gioco di luci fredde, taglienti, e volutamente ‘artificiali’ ( ligth designer Pietro Sperduti). Hanno colori brillanti ma non trasmettono vivacità; sono reali ma in esse c’è qualcosa di metafisico, alla Giorgio De Chirico. Sono pareti, quelle che ci propone Pizzi, esteta colto e raffinato, piene di finestre di diversa natura. La finestra è l’anima di un edificio, il luogo dello sguardo per eccellenza, capace di rivelare il modo di intendere il mondo.

Edward Hopper, Sole di mattina (1952)

Un focus metafisico: ciò che permette lo sguardo dall’interno verso l’esterno, così come dall’esterno verso l’interno. Tensioni visive separate e allo stesso tempo collegate dalla finestra, attraverso la quale, tuttavia, lo sguardo del personaggio non riesce ad uscire all’esterno, in quanto imprigionato nel proprio mondo interiore. A tal punto che lo spettatore vive la contrastante condizione di colui che è invitato dentro l’intimità della scena, ma poi è respinto fuori dalla chiusura introspettiva del personaggio.

Elena Sofia Ricci in una scena dello spettacolo “La dolce ala della giovinezza”

E sempre più prepotentemente arriva allo spettatore un senso di inquietudine. E di impazienza: tema, questo, particolarmente caro al regista Pizzi che oltre a costituire un aspetto della sua natura “impaziente e nomade”, fu oggetto della sua Lectio magistralis in occasione della Laurea honoris causa in Scienze dello spettacolo, conferitagli nel 2008 dall’Università di Macerata.

 Pierluigi Pizzi alla cerimonia per la sua Laurea honoris causa conferitagli dall’Università di Macerata

Immerso nel silenzio è l’incipit dello spettacolo, dove a parlare sono i ricordi della diva del cinema Alexandra del Lago, in fuga dalle sue immense insicurezze. Pierluigi Pizzi affida l’interpretazione di questo iconico ruolo della continua ricerca dell’oblio come anestetico al male di vivere, ad una Elena Sofia Ricci piena di grazia nella sua ondivaga inquietudine.

Elena Sofia Ricci (Alexandra Del Lago) nello spettacolo “La dolce ala della giovinezza”

Pizzi la immerge in un tempo che sembra non passare mai; che sembra essersi fermato, congelato in una perenne attesa. Interessante allora il guizzo registico di rendere il passare del tempo attraverso una cadenzata discesa del sipario che, quasi come un orologio, “segna” la coordinata temporale. Un succedersi cronologico delle azioni affatto rassicurante, come sottolineato dalle dolcemente ossessive note musicali composte da Stefano Mainetti.

Stefano Mainetti, compositore e direttore d’orchestra

La dolce ala della giovinezza” di Tennessee Williams, che debuttò a Broadway nel 1959 ma fu conosciuta dal grande pubblico per l’adattamento di Richard Brooks (1962), che aveva, fra gli interpreti Paul Newman e Geraldine Page, narra la storia di Chance Wayne (qui interpretato da un ambiguamente disinvolto Gabriele Anagni ) che torna nella sua città natale in Florida dopo aver fallito il  tentativo di sfondare a Hollywood come attore.

Gabriele Anagni (Chance) e Elena Sofia Ricci (Alexandra Del Lago) in una scena dello spettacolo “La dolce ala della giovinezza”

Diventa allora un gigolò e s’accompagna alla stella (in declino) del cinema Alexandra Del Lago, non più giovanissima e per di più depressa, drogata e alcolizzata. Il ritorno di Chance trova ragione nel desiderio di riconquistare il suo primo vero amore e finalmente sfondare come attore, grazie all’ancora benefico lasciapassare della diva.

Gabriele Anagni e Elena Sofia Ricci

Personaggi, che qui nell’adattamento di Pizzi ( un po’ come nei quadri di Edward Hopper ) risaltano più che per la brutale intensità propria del testo originale, piuttosto per la feroce passività del crogiolarsi nel ricordo delle aspettative deluse, dei sogni disattesi, delle persone lasciate alle spalle. Un ricordo che resta però ancora aperto in un’attesa che prenderà differenti epiloghi.

Gabriele Anagni e Elena Sofia Ricci in una scena dello spettacolo “La dolce ala della giovinezza”

Elena Sofia Ricci e Gabriele Anagni sono affiancati sulla scena dalla complicità di Chiara Degani, Flavio Francucci, Giorgio Sales, Alberto Penna, Valentina Martone, Eros Pascale e Marco Fanizzi.

Il cast dello spettacolo agli applausi

Qui l’intervista ad Elena Sofia Ricci su Repubblica