In alto mare

TEATRO MARCONI, dal 17 al 19 Marzo 2023 –

Cosa scatta nella mente degli uomini pur di sopravvivere? Che può succedere in una comunità che si trova privata di uno dei bisogni primari: il cibo? La natura umana può tollerare soluzioni democratiche? La retorica, ovvero l’arte del parlare persuadendo, è davvero più democratica della polvere da sparo?

“Sto soffrendo! Lo capisci ?!” (bozzetto di Slawomir Mrozek)



Un microcosmo, quello descritto in questo pungente atto unico del drammaturgo polacco Slawomir Mrozek, fuori da ogni coordinata spazio-temporale e con personaggi manchevoli di un nome proprio ma identificabili con “una densità quantitativa” variamente interpretabile: Mrozek decide di chiamarli il piccolo, il medio e il grosso. Sono tre naufraghi che, avendo terminato le scorte di cibo, si trovano di fronte all’urgenza di decidere chi sarà il primo a sacrificarsi per essere mangiato. Così da garantire la sopravvivenza degli altri. 

Slawomir Mrozek, autore del testo “In alto mare”

Andrea Goracci, acutamente, sceglie per il suo debutto da regista un testo breve, intenso ed eternamente attuale: una situazione paradossale sì, ma preziosa per confrontarci con l’assurdo del quotidiano. E soprattutto con le contraddizioni della nostra natura umana. Vivere in un mondo di incertezze è difficile si sa; ma cosa siamo pronti ad aspettarci dal comportamento umano? Dall’umana follia?

Andrea Goracci, regista dello spettacolo “In alto mare”

La sublime bellezza di questo testo, preservata e valorizzata dall’adattamento di Andrea Goracci, è che si parte da presupposti verosimili, da situazioni apparentemente pacifiche, per arrivare – a fil di logica – verso conclusioni grottesche ed assurde. La narrazione, infatti, prende avvio e si snoda in un crescendo di criteri “democratici” per riuscire ad individuare “la giusta” vittima sacrificale. Feroce è constatare come proprio nella ricerca democratica si insinuino, dapprima semplicemente manifestandosi ma poi prendendo il sopravvento, atteggiamenti di umana disumanità.

“L’infanzia difficile, la guerra, l’occupazione sovietica e adesso tu?”
bozzetto di Slawomir Mrozek

Ed è proprio mettendo alla berlina i paradossi della società dell’homo sapiens, smontando quindi false certezze, che il testo di Slawomir Mrozek  riconsegna all’uomo la consapevolezza della necessità di un’interminabile ricerca della verità. Perché noi tendiamo a prendere poco in considerazione “la regola” secondo cui il risultato finale dei nostri sforzi, sia individuali che collettivi, si rivela spesso il contrario di quello che avevamo previsto. Il Piccolo, ad esempio, è il primo ad invocare la democrazia ma poi esige la propaganda e nella propaganda dichiara di essere “egoista”. E proprio per il suo egoismo pretende di non essere scelto come vittima sacrificale. 

Una scena dello spettacolo “In alto mare” diretto da Andrea Goracci

E’ una natura umana passivamente feroce e immersa in un’assurda incertezza vitale, quella che l’adattamento di Andrea Goracci, fedelmente alle intenzioni del testo originale, rende con profonda tragicità ma anche con abbondante ironia, a volte addirittura esilarante. Si tratta, però, di un umorismo surreale: necessario per rivelare le convinzioni distorte dei personaggi. E’ la risata angosciante dell’assurdo: mordente e corrosiva, irrinunciabile per descrivere i pericoli che si possono insinuare nel vivere comune dell’uomo moderno. Storicamente intorno agli anni ’60 in Polonia, a seguito di una serie di scioperi e rivolte a causa delle scorte di cibo e per lo sfruttamento sovietico, Wladyslaw Gomulka assume il potere e inizia una stalinizzazione controllata. Ma spesso, ed è questo l’intento più icastico del drammaturgo polacco, “stalinistico” è il nostro modo di fare quotidiano, quando ci arrocchiamo, cioè, in quel dispotismo delle nostre abitudini e dei nostri modi di pensare che culmina nella più perversa di tutte le dittature: quella autoimposta (nella quale si immolerà il Piccolo, ad esempio).

Una scena dello spettacolo “In alto mare” diretto da Andrea Goracci

Ecco allora che il riso, volutamente suscitatoci da Mrozek, in qualche modo costituisce un’arma formidabile per smascherare l’assurdo, riconoscerlo e affrontarlo con l’unico strumento possibile, anche se mai davvero risolutivo: la consapevolezza. Perché è davvero difficile essere umani.

Slawomir Mrozek, autore del testo “In alto mare”

Andrea Goracci riesce a confezionare un adattamento così come era nelle intenzioni dell’autore: Slawomir Mrozek anelava, infatti, che questo testo fosse rappresentato dando priorità assoluta alla precisione e alla chiarezza del senso logico delle battute, per aiutare lo spettatore a muoversi con agio nella profonda densità del testo. E così è avvenuto: il pubblico, prevalentemente giovane presente in sala ieri sera alla prima, è restato costantemente incollato alla rappresentazione di “trasparente” fruibilità.

Andrea Goracci, il regista dello spettacolo “In alto mare”

La scenografia, essenziale, curata ed efficace, nasce dall’estro ormai riconoscibile di Antonella Rebecchini e dall’importante artigianalità di Mattia Lampasona. I tre naufraghi Anania Amoroso (il medio), Livio Sapio (il grosso) e Luca Vergoni (il piccolo) si rivelano personaggi dotati di una significativa caratterizzazione e danno prova di riuscire a sostenere i giusti ritmi richiesti dal testo. Considerevole lo studio sul gesto. Sempre molto efficace la prossemica. Avvincente la resa a tutto tondo del personaggio del Postino (Andrea Meloni). Avvolta nel fascino di un colpo di scena, l’epifania del servo Giovanni (Riccardo Musto). I costumi (curati da Lucia Cipollini) regalano eleganza ed incisività alla realizzazione del quadro d’insieme.

Peng

TEATRO VASCELLO, dal 7 al 12 Marzo 2023 –

Un gorgoglio: questo è l’indizio che riceviamo prima di capire che siamo all’interno di un utero. È il  liquido amniotico a gorgogliare. Al suo suono si associa quello della voce  dei pensieri di uno strano neonato, che si presenta confidandoci il suo nome: Peng. Lo sa perché, sopra il sottofondo continuo della televisione che va, sente i suoi genitori fantasticare sulla scelta del destino da abbinare al suo nome proprio. E come ascoltando il mondo da un oblò (curatore dei suoni è Dario Felli), Peng si annoia un po’. 

Fausto Cabra (Peng neonato) nello spettacolo di Giacomo Bisordi

E allora per riempire l’attesa che lo separa dalla sua “uscita”, anche lui passa il  tempo a fantasticare sul suo nome. E lo fa derivare, etimologicamente, dal francese. In particolare, da quegli Ugonotti che sapevano, loro sì, come non annoiarsi: uccidendo migliaia di persone. In effetti questo sarà il destino collegato al suo nome: per poter essere l’ “unico”  figlio, Peng strangola sua sorella gemella cosicché non esca dall’utero. Dal parto verrà alla luce così “il primo figlio-bestia”. Già cresciuto: cammina, parla e ha i denti.

Una scena dello spettacolo “Peng” di Giacomo Bisordi

Ma che notizia !!! Ne approfitta subito un giornalista che propone ai genitori di diventare protagonisti di una sorta di reality. Pur di essere visti e seguiti dal grande occhio della telecamera, tutti i protagonisti della vicenda “vengono alla luce” attraverso una vera e propria competizione ad essere “il” protagonista. L’unico.

Fausto Cabra (Peng neonato) e Ado Ottobrino (suo padre) in una scena dello spettacolo di Giacomo Bisordi

La scena (curata da Marco Giusti) semplice ed essenziale ma sempre efficacissima nel suo cambiare “a vista” a seconda delle  situazioni, si avvale della presenza di due schermi: uno per vedere l’inquadratura della videocamera e l’altro per far andare programmi televisivi. In particolare televendite, il cui monopolio è in mano ad una melliflua  presentatrice-divulgatrice: la mirabile Manuela Kustermann

Ma chi sono i genitori di questo Peng?

Ado Ottobrino (padre), Sara Borsarelli (madre), Fausto Cabra (Peng) e Francesco Sferruzza Papa (giornalista) in una scena dello spettacolo di Giacomo Bisordi

Indossano una tuta rossa Adidas come fosse una divisa. E la fanno indossare anche al figlio. Apparentemente si propongono come esempi di autenticità: mangiano sano, praticano discipline orientali, accolgono chi è in difficoltà. Ma in realtà il loro credo è la violenza, suggellata dalle note  del “Lascia ch’io pianga” di Händel. Perché “ciò che è più efficace, è irrazionale”.

Fausto Cabra (Peng) in uno scena dello spettacolo di Giacomo Bisordi

Peng, invece, non eredita la maschera dell’ipocrisia borghese dei suoi genitori. Viene subito alla luce come un crudele violento. E se ne compiace. Non si nasconde dietro alle buone maniere e va fiero delle rovine che lascia al suo passaggio. È una bestia sincera. Sia nascosto dall’ipocrisia sia scevro, quello in scena è un mondo che ha perso la sua “humanitàs”, quel misto di autentica solidarietà, compassione, comprensione, amore, perdono, cura, gentilezza.

Fausto Cabra (Peng bambino) e Francesco Giordano (Leone qui) in una scena dello spettacolo di Giacomo Bisordi

Qui “vale” ciò che puoi far vedere agli altri. Persuadendoli. Per essere un vero protagonista omologato. Dove non serve conoscere ma comprare. Dove ci si orienta attraverso i dictat  “mai più senza …”  e ” dillo guardando nella telecamera n….”. Perché la gente vuole che succeda sempre qualcosa nella vita degli altri, per distrarsi dalla propria: è lo show business

Giacomo Bisordi, il regista dello spettacolo “Peng”

Il regista Giacomo Bisordi  sceglie di portare in scena un testo denuncia di Marius von Mayenburg (scritto dopo l’elezione di Donald Trump) riadattandolo, attraverso la traduzione di Clelia Notarbartolo, alla situazione italiana. Ne scaturisce un lavoro volutamente feroce. Senza ipocrite edulcorazioni. Crudo ma necessario. L’originale regia si avvale della complicità di attori davvero molto efficaci, ciascuno nel ruolo o nei ruoli che è chiamato a rendere. Sono Aldo Ottobrino, Sara Borsarelli, Francesco Sferrazza Papa, Anna C. Colombo e Francesco Giordano. Su tutti brilla “la bestia” Fausto Cabra. Uno spettacolo che indaga sul tabù che ci porta a ridere di ciò di cui dovremmo vergognarci. Ma anche così è la natura umana.

Il cast agli applausi