Gli uccelli

TEATRO INDIA, 3 e 4 Agosto 2022 –

Entrano insieme, attraversando velate nuvole, uniti dal comune intento della narrazione. Sono Uccelli che si appollaiano in diagonale sulla sinistra del palco; Umani che si stanziano nel centro; Suoni che si sintonizzano sulla destra.  

Rievocano “l’inverno del loro scontento”, quando dalla notte del 3 dicembre, tutte le nuvole, sepolte nel petto profondo del mare, iniziarono ad incombere minacciose. Un vento di ghiaccio a salire. Gli intenti a mutare. E gli Uccelli ad essere “sempre più agitati e fruscianti come seta”.

Nell’omonimo racconto di Daphne Du Maurier, a cui lo spettacolo si ispira, non sono stati gli Uomini ad andare a chiedere agli Uccelli di prendere il governo delle loro città, come nella celebre commedia di Aristofane. No. Qui gli Uccelli, animati da una fame senza desiderio, sembrano stregati da un incantesimo. Costretti “con regole assegnate” e “codici di geometrie esistenziali”. Ubriachi di moto: il vento li anima, il vento è il segnale che precede i loro attacchi. Vento che gli interpreti rendono magnificamente nella voce; attraverso un’accurata prossemica ed esteticamente con ventagli neri, di piume.

La scrittrice Daphne Du Maurier

Gli uomini li guardano ma non sanno osservarli: solo Nat Hocken (colui che ripara cancelli e rafforza argini) sa farlo. Solo lui si rende conto che stanno “cambiando le prospettive al mondo”. Ma come Cassandra non viene creduto. Gli Uccelli hanno modo così di invadere le città, come gli Achei di uscire (apparentemente) all’improvviso dal cavallo di Troia.

Li vediamo anche, gli Uccelli: inquietantemente disegnati e proiettati su teli di velatino. Sono bianchi, sono neri, sono piume, sono becchi: “mescolati in strane amicizie, in cerca di una specie di liberazione, mai soddisfatti, mai fermi…come uomini che temendo una morte prematura, per reazione si buttano a capofitto nel lavoro oppure impazziscono”. La strana agitazione degli Uccelli risalta con evidenza anche perché le città sono molto tranquille e apparentemente si sentono ben protette. Appese alla routine quotidiana, alla musica della radio o ai comunicati-oracolo, trasmessi di tanto in tanto. Che questa volta non sono frutto dell’appassionata recitazione di Orson Welles, quando la sera del 30 ottobre del 1938, convinse mezza America che i marziani avevano dichiarato guerra alla Terra, dando vita a “La Guerra dei Mondi” !

Aleggia un’incomprensibilità della natura umana che ricorda “l’immensa complessità e la confusione dell’andare avanti degli uomini” raccontato con disperata malinconia in “Uccellacci e uccellini” da P.P.Pasolini.

Particolarmente accordati gli attori (Lorenzo Frediani, Tania Garribba, Fortunato Leccese, Anna Mallamaci, Stefano Scialanga e Camilla Semino Favro): la voce di ognuno, “corpo” più di un corpo. Sofisticatamente efficaci i costumi dei tre “Uccelli” , riempiti da posture e piccoli scatti assai credibili.

Suggestivo il contributo sonoro di rumori e strida di uccelli (l’elettronica è di Alessandro Ferroni) deformati e ritmati come in una partitura e malinconicamente accompagnati dalla chitarra elettrica di straziante bellezza di Fabio Perciballi.

La regia di Lisa Ferlazzo Natoli e l’adattamento di Roberto Scarpetti hanno saputo restituire efficacemente il clima d’attesa, le atmosfere ossessive e il finale inquietantemente risolto nella minaccia di un’attesa ulteriore. Particolarmente persuasiva, inoltre, l’idea di coniugare metaforicamente la narrazione a tinte gotiche con il clima di rilassatezza, da club degli anni ’40.

La scrittrice Daphne Du Maurier

La caduta di Troia

TEATRO INDIA, 27 Luglio 2022 –

La caduta di Troia – dal libro II dell’Eneide

Interpretazione e adattamento Massimo Popolizio

– musiche di STEFANO SALETTI eseguite in scena da:

BARBARA ERAMO voce e percussioni

– STEFANO SALETTI oud, bouzouki, bodhran, voce – PEJMAN TADAYON kemence, ney, daf –

Canti in ebraico, ladino, aramaico, sabir

-Produzione Compagnia Orsini

Come una sinfonia: armonia di elementi, fusione di suoni !

È questa l’impressione che si può ricevere assistendo alla rappresentazione dello spettacolo di Massimo Popolizio “La caduta di Troia”, dove un’affascinante orchestra di tre elementi si suggella alla voce dell’Attore, crogiuolo di sonorità.

Come l’affresco di RaffaelloL’incendio di Borgo” (del 1514, situato nella Stanza dell’incendio di borgo, una delle Stanze Vaticane) così l’orchestrazione dello spettacolo trasforma il testo in un palco dove si proiettano corpi, gesti, sguardi, colori. Ma soprattutto è l’occasione in cui trovano rivelazione quelle visioni “sonore” custodite dalle parole, dai ritmi dell’esametro e dai necessari silenzi.

Nel raggiungere tali esiti, risulta essenziale il lavoro d’ensamble, musicale e canoro, cucito con artisti di grande sensibilità, quali Barbara Eramo, Stefano Saletti, Pejman Tadayon. È loro il contrappunto di paesaggi sonori, antichi e arcani, creato attraverso strumenti a fiato, a corda, membranofoni (kemence, daf, ney, fra gli altri) e cantando in lingue come l’ebraico, l’aramaico, il ladino e il sabir.

Una sinfonia che sa far rivivere in maniera lacerante il dissidio, tutto umano nonché insito nell’etimologia stessa della parola “inganno”, tra coloro che, oramai stanchi, si sono lasciati vincere da illusorie visioni favorevoli (sottolineate dall’insinuarsi di incantevoli sonorità flautate, rafforzate dall’arpeggio pizzicato di corde e poi sublimate dalle note suadenti di un canto da sirena)

e coloro che invece riuscirono a restare in contatto con il proprio istinto e quindi con la capacità di annusare e riconoscere pericolose rassicurazioni (annunciate dallo strisciare di subdoli sonagli, da menzogneri colpi vuoti, oppure da percussioni lente e poi sempre più concitate). 

Questo trionfo di magnifiche suggestioni è costruito intorno ad uno scottante tema d’informazione, purtroppo ancor oggi attualissimo: quello dell’assurdità della guerra e delle conseguenti migrazioni.

Alla corte di Didone, Enea narra, descrivendola con “indicibile dolore“, quella notte di violenza e di orrore, che si origina dall’inganno del cavallo di legno. Proprio quello con cui i Greci espugnarono, dopo dieci anni di assedio, la città di Troia. Così si apre il secondo libro dell’Eneide, considerato un capolavoro assoluto per la sua struttura e per la sua forza tragica. È l’inizio di un lungo cammino, che permetterà sì, alla fine, di trovare fortuna altrove, ma dove Enea vive la violenza della guerra, la fuga per mare, la ricerca di una nuova terra. Quella stessa disperazione di milioni di persone che anche oggi hanno iniziato il loro lungo viaggio per la sopravvivenza.

Dante metterà coloro che fanno uso di inganni, nel ghiaccio dell’ultimo cerchio dell’Inferno: l’inganno “vive di carne umana” e blinda il cuore dell’uomo. 

E la partitura narrativa nonché “sinfonica” di questo spettacolo è tutta costruita proprio su questa ambiguità costituzionale all’inganno che, anche etimologicamente, racchiude in sé, quasi paradossalmente, il significato di “truffa” e insieme quello di “gioco”.