IL MUTAMENTO – In viaggio da Atlantide all’Universo

TEATRO DI DOCUMENTI , dal 27 Aprile al 7 Maggio 2023 –

Ieri alle ore 17:45 la creativa regista Stefania Porrino ci ha “convocati” al Teatro di Documenti per condurci, con la complicità dei suoi attori, in “un viaggio al centro della Terra”: un viaggio alla ricerca dei nostri desideri più veri.

L’autrice e regista Stefania Porrino

Tema del viaggio: “Continua a cercarmi”. Sì, perché i desideri, più sono sentiti, più ci viene di nasconderli.

Una scena dello spettacolo “Il Mutamento” di Stefania Porrino

Perché? Ma perché abbiamo paura: paura di realizzarli. Per realizzarli occorrerebbe attivare quel coraggio che non sappiamo di avere ma che in realtà è “l’altra faccia” della paura che predomina in noi. Quel coraggio necessario per riuscire ad aprirci ad “un mutamento”. Lasciando indietro quelle nostre amate-odiate abitudini: così rassicuranti sì, ma anche così insoddisfacenti. E con le quali ci siamo ormai abituati a convivere.

Sala del Teatro di Documenti

E quindi, dopo aver preso posto ai lati dell’insolita sala del Teatro di Documenti, un pò come si farebbe in un vagone della metro, gli attori ci hanno “trasportati” in una seduta di psicoanalisi di gruppo. Tecnica del giorno, scelta dalla psicoterapeuta per una sorta di meditazione sui “mutamenti” che soli hanno il potere di condurci a contattare i nostri desideri più veri: l’improvvisazione di uno psicodramma.

Una scena dello spettacolo “Il Mutamento” di Stefania Porrino al Teatro di Documenti

In un’affascinante e molteplice meta-teatralità, l’acuto testo dell’autrice-regista Stefania Porrino riesce a coinvolgere anche noi del pubblico in questo “viaggio al centro della Terra”, o meglio al centro di noi stessi. Come agli attori-pazienti, anche a noi è capitato di essere stati messi in crisi da situazioni di “mutamento”. E immedesimarsi nelle situazioni problematiche degli altri, ci aiuta a vedere con più coraggio in noi stessi, non essendo coinvolti direttamente.

Evelina Nazzari, in una scena dello spettacolo “Il Mutamento – In viaggio da Atlantide all’Universo” di Stefania Porrino

E’ così che la sala diventa il palcoscenico dell’inconscio, dove convivono le nostre diverse personalità. A vista, senza alcun filtro, si indossano e ci si libera di quelle maschere che più o meno consapevolmente siamo soliti rappresentare. Di particolare efficacia e cura i costumi di Natasha Bizzi.

Solo così si arriva a scoprire il desiderio di voler sperimentare il piacere, tutto nuovo, di essere continuamente messi alla prova, piuttosto che restare impaludati in una comoda zona di confort.

Solo così si scopre il piacere adrenalinico di voler cavalcare le onde dell’Amore: della voglia di farsi travolgere dalla “capacità di amare”, che vuol dire saper accogliere e gestire la delizia e il tormento; i momenti di riconoscimento e quelli della frustrazione; la gioia e la tristezza.

Giulio Farnese e Nunzia Greco in una scena dello spettacolo “Il Mutamento” di Stefania Porrino al Teatro di Documenti

Solo così si riesce a tollerare che a mille domande possano seguire pochissime risposte: perché riusciamo a riconoscere che è in noi che le risposte vanno cercate e trovate. Senza lasciarci paralizzare dalla paura di sbagliare, perché quello che erroneamente chiamiamo “sbaglio” è in realtà un allontanarci dal nostro sentire più autenticamente vero.

Il libro “Il romanzo del sentire – da Atlantide a noi” da cui la stessa autrice-regista ha tratto il testo dello spettacolo

L’effetto catarsi è assicurato: lo spettacolo coinvolge totalmente lo spettatore. Merito di un testo, tratto da “Il romanzo del Sentire – Da Atlantide a noi” di Stefania Porrino, profondo ma fruibilissimo e di una messa in scena seducente. Gli attori Giulio Farnese, Nunzia Greco, Evelina Nazzari, Alessandro Pala Griesche e Carla Kaamini Carretti si sono rivelati degli ottimi “compagni di viaggio” per gli spettatori: la loro interpretazione brilla in credibilità. Notevolissima la loro densità vocale.

La regista Stefania Porrino e il cast dello spettacolo “Il Mutamento-In viaggio da Atlantide all’Universo”

Nei panni di una donna ?

TEATRO LE FONTANACCE, 26 Marzo 2023 –

Da ingegnosa artigiana teatrale, Luciana Frazzetto, nel “dare forma” al personaggio femminile di questo monologo, non poteva trovare migliore mestiere per connotarlo che quello legato alla sartorialità. 

Luciana Frazzetto, autrice ed interprete del monologo comico “Nei panni di una donna?”

Obiettivo degli autori (il testo è scritto a quattro mani da Luciana Frazzetto e da Riccardo Graziosi) è “attagliare” un personaggio femminile: costruirgli cioè un “habitus”, un modo di fare, che lo renda contemporaneamente singolare ed universale. Una sorta di “taglia unica”. 

Riccardo Graziosi autore, con Luciana Frazzetto, del monologo comico “Nei panni di una donna ?”

Ma come accade nei migliori ateliers dove la sarta apporta gli ultimi dettagli “in presenza”, ovvero durante la prova con il cliente, appuntando gli spilli e ricontrollando l’esattezza della cucitura su una spalla o su di un fianco, così la Frazzetto solo una volta al cospetto del pubblico in sala, apporta gli ultimi aggiustamenti al suo personaggio. La sensibilità dell’attrice è tale che, non staccando mai l’ascolto sul pubblico, riesce ad improvvisare “rimodellamenti” cercando e trovando, momento per momento, il giusto accordo con le reazioni del pubblico.

Un collage di alcuni momenti dello spettacolo “Nei panni di una donna?” di Massimo Milazzo

Non solo: obiettivo degli autori è anche quello di non irrigidire il personaggio, e i temi che lo connotano, “modellandolo” solo sull’universo femminile. Ci riescono grazie ad un bizzarro escamotage che coinvolge, nel complesso universo femminile, il più lineare sguardo maschile. Ne deriva una partecipazione di pubblico totalizzante. Sempre. 

Luciana Frazzetto in una scena dello spettacolo “Nei panni di una donna?” di Massimo Milazzo

La capacità della Frazzetto di rompere la quarta parete è tale che per tutto lo spettacolo il pubblico dà vita ad un continuo contrappunto di commenti catartici. Straripano le risate. Ma progressivamente lasciano spazio anche ad accorati sospiri che, sul finale, confluiscono in qualche lacrima.

Massimo Milazzo, il regista dello spettacolo “Nei panni di una donna?”

Attraverso l’attento sguardo d’insieme di Massimo Milazzo, il personaggio femminile protagonista del monologo non solo drammaturgicamente ma anche registicamente risulta incline a smussare angoli e ad allungare o accorciare pretese, come fossero orli. Fino ad arrivare a trovare uno sviluppo, dove la protagonista imparerà che non sempre è possibile creare ponti, come si fa intagliando asole per abbottonare due punti di vista. A volte i ponti vanno fatti saltare. Subito.

Perché le donne non “si toccano” !

Luciana Frazzetto

Merito dello spettacolo è quello di affrontare il tema della violenza sulle donne al di là dei moralismi. La chiave di volta, qui, è l’utilizzo del paradosso della risata che, opportunamente indirizzata registicamente, diventa dapprima amara e poi di rottura. 

Esemplare il sodalizio artistico (e di vita) di due splendide persone come Luciana Frazzetto e Massimo Milazzo, che sono riuscite e riescono ogni volta a “sedurre” platee colme di presenze umane, che sentono l’urgenza della benefica funzione del teatro. Un presidio culturale, quello da loro fondato a Rocca Priora, davvero prezioso.

Una pura formalità

TEATRO MARCONI, dal 23 al 26 Febbraio 2023 –

È un punto di fuga decentrato la vita, per noi che ci ostiniamo a passare gli anni che ci vengono concessi in sorte a “ricordare ciò che c’è da cancellare“. Con queste parole Giuseppe Tornatore sceglie di suggellare la chiusura dell’omonimo film al quale questa riduzione teatrale, diretta dal regista Roberto Belli, si ispira.

Scena finale del film “Una pura formalità” di Giuseppe Tornatore

E affida “la rivelazione” contenuta in esse al modulare “decentrato” del canto di Gerard Depardieu:

Ricordare,

ricordare è come un po’ morire

tu adesso lo sai perché tutto ritorna, anche se non vuoi

E scordare,

e scordare è più difficile

ora sai che è più difficile, se vuoi ricominciare…

(“Ricordare”, testo di Giuseppe Tornatore, musica di Ennio Morricone)

Intenzione del titolo, infatti, è quella di indurci, provocatoriamente, a pensare che la morte (così come la vita) non sia altro che una pura formalità agevolmente espletabile. Qualcosa di noioso magari, ma estremamente pulito, lineare. Così semplice e innocuo da divenire quasi inconsistente.

Roman Polanski e Gerard Depardieu in una scena del film “Una pura formalità” di Giuseppe Tornatore

Ma è davvero così ? E se invece fosse qualcosa di vischiosamente fangoso e pesantemente rammollito da una pioggia insinuante, ossessiva e disorientante ? Un diluvio che col tempo si modula in una sorta di stillicidio ? Stillicidio che, non a caso, abita davvero la scena (curata da Eleonora Scarponi): reali perdite d’acqua, infatti, s’insinuano dall’alto e, provvisoriamente convogliate in secchi, regalano al clima drammaturgico una sinistra e suadente musicalità dalla scomposta grazia.

Una delle scene iniziali del film “Una pura formalità” di Giuseppe Tornatore

Claudio Boccaccini, che siamo soliti conoscere e riconoscere dalle “regie di luce” che caratterizzano i suoi spettacoli, qui è anche l’interprete di Onoff, uno scrittore profondamente in crisi che una notte si ritrova a correre, vagando disorientato, sotto un diluvio di pioggia. Da qui prende avvio lo spettacolo. E desta grande stupore, una meraviglia che ammutolisce, l’intima adesione che Boccaccini riesce a trovare per “farsi personaggio”,  restituendoci tutta la grandezza epica di “un mito” in decadenza capace ancora, tuttavia, d’illuminarsi di una metafisica aura ieratica. E ci commuove. Profondamente. E proprio nel momento in cui riesce a farci mollare ogni resistenza, ci identifichiamo in lui. Nel suo destino, che è anche il nostro. Ed è catarsi.

Claudio Boccaccini è Onoff

Complice di tale incantesimo è anche quell’intesa profonda che riesce ad instaurare con un Commissario qual è quello interpretato da un elegante e calibrato Paolo Perinelli, dalla capacità maieuticamente socratica di “tarare” ciò che non serve. Sarà infatti attraverso l’arte di fare domande (solo apparentemente da Commissario di polizia) che permetterà il parto narrativo ed esistenziale di Onoff, costringendolo a riflettere sulla portata di quei concetti dati erroneamente per scontati e sulle contraddizioni in essi serbate.  Perché solo eliminando il troppo e il vano da ciò che Onoff pensa (e che ha deciso di ricordare), potrà aiutarlo nel conquistare una nuova, autentica e “centrata” consapevolezza di sé. 

Paolo Perinelli (il Commissario)

E da spettatori ci si ritrova ad immaginare che forse sarà su questo che, dopo la nostra morte, una volta condotti in una Stazione di Polizia-Purgatorio, qualcuno ci farà riflettere: su come va cercata la nostra autentica verità. 

Andrea Meloni (Andrè)

Il “quadro” registico “dipinto” dal regista Belli trova compiutezza anche attraverso i contributi interpretativi dei tre collaboratori del Commissario. Andrea Meloni sa regalare ai panni di André il dattilografo una poeticità capace di illuminare la subordinazione verso il Commissario di un intimo e quasi incontenibile trasporto ad accogliere il “fango umano” di Onoff.  Paolo Matteucci (il Capitano) e Riccardo Frezza (la Guardia) riescono a tratteggiare, con un’interessante nota di ambiguo zelo, due insolite figure di angelici aguzzini.

Riccardo Frezza (la Guardia) e Paolo Matteucci (il Capitano)

Il linguaggio delle luci, com’è nella cifra di Claudio Boccaccini, risulta disegnato in modo raffinato e profondo, tecnicamente sobrio ma virtuoso nelle metafore visive. E soprattutto risulta capace di generare toni narrativi estremamente coinvolgenti: tra suspense hitchcockiana e dialogo morale bergmaniano

Claudio Boccaccini

Ne deriva uno spettacolo intimo e insieme aperto al dubbio; generatore di stati d’animo disposti a conversare sui quesiti connaturati alla nostra condizione umana. Un’indagine sulla vita che approda alla scoperta che comprendere è più importante che condannare.

Ed è così che uno spettacolo diventa arte lirica visiva: danza tra musica ed immagini. Riuscendo ad attraversare la pelle dello spettatore per tatuarvisi come ricordo.

Il cast dello spettacolo “Una pura formalità” di Roberto Belli

L’uomo dal fiore in bocca

TEATRO ARGOT STUDIO, Dal 31 Marzo al 10 Aprile 2022 –

Sta in un cantuccio e ci guarda: è una donna dal vestito nero, stretta ad un fascio d’erba. Ci spia mentre prendiamo posto in sala. A tratti parla tra sé. E poi, ripensa. Il regista Francesco Zecca ha scelto di allestire la scena sotto al palco: uno spazio fisico e ultraterreno, rettangolare e insieme concentrico, per ricordare un uomo, ormeggiato con l’ancora di un lembo di terra. Sul fondo tre specchi rettangolari, chiusi a semicerchio, replicano e rivelano sotto diverse angolature, tutto ciò che li attraversa.

La donna dal vestito nero esce dal suo cantuccio, si guarda intorno, si cerca e non si trova negli specchi sovrastanti. Ma nonostante tutto con sacra eleganza entra, un piede alla volta, nel luogo dove poter osservare gli affanni delle nostra assurda e passeggera esistenza. Un luogo privilegiato, per essere ammessi a riflessioni di respiro profondo, partecipi di un intimo e vitalissimo ciclo, che sempre riattraversa il grembo fertile della terra.

Qui, il regista Zecca immagina di donare la parola a chi, nel testo originale di Luigi Pirandello del 1923, era stata tolta: la moglie. Lì il marito l’allontana dalla propria vita, dopo aver scoperto di essere malato, preferendo attraversare gli ultimi mesi nel desiderio di penetrare dentro la vita degli altri, perfetti sconosciuti, di cui osserva con pignoleria ogni particolare.

L’adattamento di Zecca si apre invece con la moglie in visita alla tomba del marito. Lei, al massimo della spinta simbiotica, si appropria dell’urgenza del marito di attaccarsi con l’immaginazione alla vita degli altri, pur non avendo come lui un responso di morte con una imminente data di scadenza. Crede che spiare la vita degli altri la faccia sentire più libera.

Ma cosa sta spiando davvero? La vita o la morte degli altri? O forse come la morte spii sempre la vita? Lei resta ipnotizzata dalle mani, dagli abbracci, dalle lacrime, dai modi di camminare degli altri. E quando si accendono le luci di platea, si attacca con l’immaginazione anche alle nostre vite di spettatori. La musica accompagna ed enfatizza il suo gusto per la vita, che però è destinato a fermarsi in gola (come suggellato dalle micro-pause musicali) e quindi a non soddisfarsi mai.

“Si può sentire sapore solo nelle cose del passato”- arriva a sostenere. E si aggrappa sempre alle stesse frasi, che prima di lei erano state l’àncora di suo marito. Lo si legge dai suoi occhi: mai davvero centrati sul presente (neanche quando spia gli altri) e men che meno sul futuro. Occhi, i suoi, che guardano indietro, come ripercorrendo un film, la cui scena madre è quella delle poltrone della sala d’attesa, “occupate” da lei e da suo marito, prima di conoscere il responso consegnato dal medico.

Noi, come quelle poltrone, con un destino d’attesa, di accoglienza e di aderenza temporanea. Altri vi si siederanno e crederanno come noi di “occuparle” davvero. Tutto scorre senza possibilità di controllo ma la cosa più insopportabile è che noi rischiamo di scorrere nell’indifferenza. “Perché -si chiede la donna dal vestito nero- mio marito non ha chiesto a me di raccogliere i fili d’erba? Perché lo ha chiesto proprio ad un “avventore”?

Forse perché un avventore per sua natura sa di essere “di passaggio”, sa che la sua è una presenza occasionale ma unica, sa muoversi nell’incontrollabile, nel mistero che avvolge la vita. Forse solo un avventore, proprio quello che beve un liquore di menta con la cannuccia, può essere coinvolto nel nostro destino.

E nel momento di massima disperazione, un pensiero potente come un incubo, sottrae la moglie alla mortifera forza di attrazione verso la terra: quello del gusto erotico delle albicocche. E scoprirà, forse, che il destino in cui tutti siamo avvolti è un destino di continui inizi.

Una struggentemente alienata Lucrezia Lante della Rovere arriva e lascia il segno.

Il regista Francesco Zecca e l’interprete Lucrezia Lante della Rovere hanno dimostrato la loro solidarietà alla questione ucraina con questo potente gesto.